La Cassazione, intervenuta sul tema, ha ribadito che il diritto al ripristino del rapporto salvo trasferimento, comporta che debba essere comprovata la inutilizzabilità del lavoratore nella sede di destinazione, resistendo la reintegra al potere di trasferimento ed introducendo un ulteriore limite a quello previsto dal 2103 c.c.
Un lavoratore, dopo essere stato reintegrato nel posto di lavoro dal Tribunale di Cassino, veniva immediatamente trasferito presso altra sede in forza di esigenze tecnico produttive.
Il Tribunale di Cassino, con sentenza confermata in sede di appello dalla Corte capitolina, annullava il trasferimento disponendo il ripristino nella originaria sede di lavoro.
La società ricorreva per cassazione lamentando che, anche a seguito di un licenziamento illegittimo l’azienda conserva la facoltà di trasferire il lavoratore prima ed a prescindere da qualsiasi reintegra adducendo le medesime ragioni che sorreggono una qualsiasi ipotesi ordinaria di trasferimento, senza necessità di provare l'impossibilità di reintegrare il lavoratore nella sede di partenza.
La Cassazione, nel respingere il ricorso della società, con sentenza n. 18892 del 10 luglio 2024, ha richiamato il consolidato orientamento in forza del quale il diritto al ripristino del rapporto salvo trasferimento, comporta che debba essere comprovata la inutilizzabilità del lavoratore nella sede di destinazione, resistendo la reintegra al potere di trasferimento ed introducendo un ulteriore limite a quello previsto dall’art. 2103 c.c .
La Cassazione ha precisato che a seguito della reintegra il datore di lavoro deve ripristinare il rapporto di lavoro nella originaria sede. L’unica eccezione all’obbligo di ripristino del rapporto di lavoro nella originaria sede di lavoro è costituita dall'impossibilità di riammettere il lavoratore reintegrato nella precedente sede per la dimostrata insussistenza di posti comportanti l'espletamento delle ultime mansioni nonché di mansioni equivalenti a queste ultime.
Avv. Nicoletta Di Lolli