
Il 3 aprile scorso l’Ungheria ha proposto una domanda di pronuncia pregiudiziale avanti alla Corte di Giustizia in materia di copyright e intelligenza artificiale (causa C-250/25).
Le questioni pregiudiziali
In un mondo che è sempre più fluidamente permeato dall’intelligenza artificiale, dopo gli interventi normativi del legislatore europeo (AI Act), è ancora una volta l’Europa a doversi pronunciare; questa volta, sull’opportunità di estendere all’IA i limiti del copyright in ambito editoriale. Qualche mese fa il Budapest Környéki Törvényszék ha, infatti, ritenuto necessario presentare un rinvio pregiudiziale alla CGUE per comprendere se – e in che termini – l’IA possa soggiacere alle norme sul copyright imposte dalla direttiva UE 2019/790 (“Direttiva Copyright”).
Precisamente, è stato chiesto alla CGUE se l’articolo 15, paragrafo 1, della Direttiva Copyright e l’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2001/29/CE debbano essere interpretati nel senso che costituisce una comunicazione al pubblico la visualizzazione nelle risposte di un chatbot basato su un LLM (large language model) di un testo in parte identico al contenuto di siti web di editori di pubblicazioni di carattere giornalistico, con un’estensione tale da essere già protetto in virtù dell’articolo 15 della direttiva 2019/790. In caso di risposta affermativa, si è chiesto se abbia rilevanza la circostanza che [le risposte fornite dal chatbot] siano il risultato di un processo in cui il chatbot prevede la parola successiva basandosi esclusivamente su modelli osservati.
E ancora, è stato chiesto se l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2019/790 e l’articolo 2 della direttiva 2001/29 debbano essere interpretati nel senso che il processo di addestramento del chatbot basato su un LLM costruito in base all’osservazione e all’abbinamento di modelli costituisce una riproduzione. In caso di risposta affermativa a tale seconda questione, se tale riproduzione di opere legalmente accessibili rientri nell’eccezione che garantisce il libero utilizzo ai fini dell’estrazione di testo e di dati (art. 4 Direttiva Copyright).
Infine, se l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2019/790 e l’articolo 2 della direttiva 2001/29 debbano essere interpretati nel senso che costituisce una riproduzione da parte del fornitore del servizio di chatbot la circostanza che, quando gli utenti impartiscono a un chatbot basato su un LLM un’istruzione coincidente con il testo contenuto in una pubblicazione di carattere giornalistico (o che si riferisce a detto testo), il chatbot generi la propria risposta basandosi sull’istruzione fornita dall’utente, risposta in cui viene visualizzato in tutto o in parte il contenuto di una pubblicazione di carattere giornalistico.
Il caso
Volendo contestualizzare il provvedimento di rinvio, è opportuno fare un passo indietro. La ricorrente del caso oggetto di rinvio – la società ungherese Like Company – è l’editore e gestore di portali di notizie protetti dal diritto d’autore, la quale faceva causa a Google in ragione della asserita ripetuta violazione del diritto ungherese e comunitario, consistente nella riproduzione in via elettronica delle pubblicazioni editoriali della ricorrente. In altre parole, la ricorrente contestava il fatto che, chiedendo al chatbot di Google di riprodurre un riassunto di un articolo apparso su una delle proprie testate giornalistiche online, il chatbot fornisse una risposta dettagliata, contenente un riassunto delle notizie apparse sui propri mezzi di informazione. A detta della ricorrente, infatti, il chatbot aveva avuto accesso alla pubblicazione protetta, di talché la risposta del chatbot costituiva una comunicazione al pubblico e una riproduzione del contenuto editoriale protetto della ricorrente, che travalicava il concetto di utilizzo di “brevi estratti”, necessitando così del consenso dell’editore nonché dell’obbligo di corresponsione della relativa remunerazione. Peraltro – sosteneva la ricorrente – il fatto che l’editore avesse dato il proprio consenso alla visualizzazione degli articoli nei motori di ricerca non significava che lo stesso avesse acconsentito anche ad altri utilizzi diversi dalla sola visualizzazione.
Di diverso avviso era, invece, la resistente, la quale sosteneva che il contenuto della risposta non fosse identico a quello degli articoli della ricorrente; che la risposta del chatbot non costituisse né una messa a disposizione del pubblico né una riproduzione dei contenuti della ricorrente ai sensi del diritto ungherese e che, quand’anche si trattasse di una visualizzazione di risposte costituenti una messa a disposizione del pubblico e riproduzione, la stessa sarebbe rientrata nelle eccezioni per la riproduzione temporanea (art. 5, par. 1, direttiva 2001/29) e per l’estrazione di testi e dati (art. 4 Direttiva Copyright).
Alcune riflessioni con uno sguardo all’Italia
In Italia l’art. 15 della Direttiva Copyright è stato recepito con l’introduzione dell’art. 43-bis LDA, il quale, appunto, riconosce “agli editori di pubblicazioni di carattere giornalistico (…), per l'utilizzo online delle loro pubblicazioni (…) da parte di prestatori di servizi della società dell’informazione (…), i diritti esclusivi di riproduzione e comunicazione di cui agli articoli 13 e 16”, con conseguente diritto degli editori a vedersi corrisposto dai medesimi prestatori dei servizi un equo compenso per l’utilizzo online di tali pubblicazioni. Ciò, peraltro, salvo che non si tratti di un utilizzo sotto forma di “breve estratto”.
Dunque, provando a riflettere sul caso in esame con i parametri del diritto italiano, quale potrebbe essere il confine tra il “breve estratto” e il riassunto, con le relative conseguenze in termini di consenso dell’editore e connesso diritto all’equo compenso? Ai sensi dell’art. 43-bis, comma 7, LDA il “breve estratto” (che non dà diritto all’editore all’equo compenso da parte del prestatore) è una porzione di testo “che non dispens[a] dalla necessità di consultazione dell’articolo nella sua integrità”. E, quindi, un riassunto – che, secondo la ricorrente, forniva già una risposta dettagliata – potrebbe considerarsi un “breve estratto” oppure rivestirebbe una utilizzazione protetta, da equamente compensare? La Direttiva Copyright (considerando 58) chiarisce che “l’utilizzazione” può consistere non solo nell’utilizzo di intere pubblicazioni o di interi articoli, ma anche di parti di pubblicazioni di carattere giornalistico. Allora, una riproduzione di un testo giornalistico, sebbene parziale e quand’anche nel contesto di una più ampia rielaborazione effettuata dall’IA, potrebbe costituire comunque un utilizzo tutelato ai sensi dell’art. 15 Direttiva Copyright?
Conclusioni
Ora, detto che dovremo ancora attendere per la pronuncia della Corte UE, è evidente che il caso in esame fornisca lo spunto per varie riflessioni. Ma cosa succederebbe se la Corte di Giustizia riconoscesse che la riproduzione di testo effettuata dal chatbot costituisce una utilizzazione protetta ai sensi dell’art. 15 Direttiva Copyright? Ad avviso di chi scrive, la pronuncia potrebbe contribuire alla riduzione dell’eventuale value gap tra l’IA, che avrebbe utilizzato il contenuto, e l’editore che si vedrebbe riconosciuto un diritto al compenso. Ciò, a cascata, permetterebbe agli autori degli articoli utilizzati dall’IA di vedersi riconosciuta una quota del compenso degli editori (art. 43-bis, comma 13, LDA); ma, soprattutto, potrebbe aprire più ampi tavoli negoziali, tra editori e gestori di sistemi di IA, non solo per la determinazione del compenso agli editori (art. 43-bis, comma 9, LDA), ma anche per la definizione degli usi consentiti dei contenuti editoriali.