
Con la sentenza n. 32996 del 17 dicembre 2024 la Corte di Cassazione si è pronunciata con riferimento alla sorte giuridica dell’accordo omologato di ristrutturazione dei debiti in caso di successiva declaratoria del fallimento (oggi, liquidazione giudiziale) dell’imprenditore.
La Suprema Corte ha affermato che tale declaratoria “incide direttamente sull’istituto di regolazione della crisi in esame – determinando automaticamente, e senza necessità di istanza alcuna, il suo venir meno per impossibilità sopravvenuta – e, indirettamente, sulla sorte dei singoli accordi di ristrutturazione dei debiti, comportando l’irrealizzabilità della causa di risanamento posta a base di ciascuno dei contratti e determinante per la loro attuazione, cui consegue la risoluzione di diritto per impossibilità giuridica sopravvenuta della prestazione ex art. 1463 cod. civ. e la riespansione dell’originaria obbligazione (risultando così non necessario, da parte dei creditori aderenti, il ricorso al rimedio civilistico dell’azione giudiziale di risoluzione ex art. 1453 e ss. cod. civ.)”.
Il Codice della crisi - ponendosi in continuità dispositiva con la previgente Legge fallimentare (cfr. art. 182-bis del r.d. n. 267/1942) - ha previsto e disciplinato l’accordo di ristrutturazione dei debiti (cfr. artt. 57 e ss. del d.lgs. n. 14/2019), quale specifica procedura risanatoria alla quale l’imprenditore può ricorrere per tentare il risanamento dell’impresa, nell’ottica - preminente - della salvaguardia del complesso produttivo e della continuità dell’attività commerciale, obiettivi realisticamente perseguibili solo mediante la riduzione dell’esposizione debitoria complessiva.
Il Codice della crisi ha previsto tre diversi tipi di accordo di ristrutturazione dei debiti: (i) tipo c.d. ordinario, per il quale è richiesto il raggiungimento di accordi con i creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti (cfr. art. 57 c.c.i.); (ii) tipo c.d. agevolato, per il quale la percentuale minima di crediti richiesta è ridotta alla metà (30%, anziché 60% dei crediti), subordinatamente alla duplice (concorrente) condizione che l’imprenditore non proponga la moratoria dei crediti estranei agli accordi e non abbia richiesto e rinunci a richiedere l’applicazione delle misure protettive (cfr. art. 60 c.c.i.); (iii) tipo c.d. ad efficacia estesa, nell’ipotesi in cui i creditori siano raggruppati in categorie individuate in base all’omogeneità di posizione giuridica e di interessi economici e sia prevista la possibilità che gli effetti dell’accordo si estendano anche ai creditori non aderenti che appartengono alla medesima categoria (cfr. art. 61 c.c.i.)
L’accordo di ristrutturazione dei debiti deve essere sottoposto al previo controllo omologatorio da parte del Tribunale competente.
Come osservato dai Giudici di legittimità, la normativa concorsuale “non prevede che l’accordo di ristrutturazione possa essere dichiarato risolto per inadempimento”.
Tuttavia, l’eventuale declaratoria del fallimento (oggi, liquidazione giudiziale) intervenuta successivamente all’omologazione in ragione del mancato superamento della crisi costituisce un evento foriero di conseguenze, in quanto “impedisce, all’evidenza, l’adempimento degli eventuali accordi di ristrutturazione in precedenza conclusi e posti a base della domanda di omologa”.
In altri termini, “[l’]attuazione del piano posto a base della procedura concorsuale e finalizzato alla risoluzione della condizione di crisi dell’imprenditore diviene così impossibile per il sopravvenire di un evento che, sovrapponendosi alla procedura concorsuale precedentemente avviata ed omologata, lo rende irrealizzabile”.