
La coesistenza tra due marchi per un periodo di tempo significativo, impedisce al titolare del marchio anteriore di ottenere l’annullamento del marchio posteriore identico che designa prodotti identici, qualora sussista la buona fede degli operatori e non venga pregiudicata la funzione essenziale del marchio d’impresa, consistente nel garantire ai consumatori l’origine dei prodotti o dei servizi (cfr. Cass. Civ., ord. n. 630 del 10.1.2025).
La confondibilità tra marchi.
Come noto, funzione precipua del marchio è quella distintiva: contraddistinguere i prodotti e servizi di un’impresa da quelli di altre imprese concorrenti e, così, permettere al consumatore di identificare in modo immediato l’impresa che offre quel determinato prodotto e/o le specifiche caratteristiche di quest’ultimo.
La funzione essenziale del marchio, tuttavia, rischia di essere lesa nell’ipotesi “confusione”: il rischio di confusione tra marchi si verifica quando «i beni o i prodotti siano ricercati ed acquistati dal pubblico in forza di motivazioni identiche, o strettamente correlate, tali per cui l'affinità funzionale tra essi esistente induca il consumatore a ritenere che provengano dalla medesima fonte produttiva, indipendentemente dall'eventuale uniformità dei canali di commercializzazione» (cfr. Cass. Civ., sent. n. 7414 del 13.4.2015).
Come noto, l’art. 20 c.p.i. riconosce al titolare del marchio d’impresa registrato il diritto di fare uso esclusivo del segno e, conseguentemente, «di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nell'attività economica: a) […]; b) un segno identico o simile al marchio registrato, per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell'identità o somiglianza fra i segni e dell'identità o affinità fra i prodotti o servizi, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni».
Tuttavia, al sussistere di talune circostanze, tale diritto potrebbe venir meno.
La “preclusione per coesistenza”.
Cosa accade nell’ipotesi in cui due marchi identici (o, comunque, suscettibili di creare “confusione”) coesistano per un lungo periodo di tempo?
La coesistenza – come osservato dalla CGUE con la pronuncia C-482/09 nel caso “Budweiser” – è in grado di modificare l’originario assetto degli interessi coinvolti: (i) da un lato, alimenta l’affidamento del titolare del marchio posteriore a poter continuarne l’uso, beneficiando dell’accreditamento sul mercato che egli stesso ha realizzato e, (ii) dall’altro, consente anche che nei consumatori, grazie a ripetute esperienze d’acquisto, maturi la consapevolezza delle “differenze” tra i prodotti e tra i marchi che li contraddistinguono, e, quindi, la capacità di distinguere i due marchi e collegarli alle relative imprese produttrici (cfr. Trib. Milano, Sez. Impresa, sent. n. 3320/2016). Dunque, con il trascorrere del tempo – nell’inerzia del titolare del marchio anteriore – cessa progressivamente il rischio che il marchio posteriore pregiudichi la funzione di indicazione di provenienza del marchio anteriore (i.e. il rischio di confusione) e, al contempo, viene meno quella coincidenza inizialmente evidente tra l’interesse del titolare del marchio anteriore e l’interesse dei consumatori a poter effettuare consapevolmente le proprie scelte d’acquisto.
Conclusioni.
Il principio della “preclusione per coesistenza” trova la propria ragion d’essere nel venir meno del rischio di confusione ed «esclude che il titolare di un marchio anteriore possa ottenere l'annullamento di un marchio posteriore identico che designa prodotti identici in caso di uso simultaneo in buona fede e di lunga durata di tali due marchi d' impresa quando tale uso non pregiudica o non può pregiudicare la funzione essenziale del marchio d' impresa, consistente nel garantire ai consumatori l'origine dei prodotti o dei servizi (cfr., nella giurisprudenza nazionale, Cass. 3 agosto 2023, n. 23727);
- l'operatività di tale principio richiede, dunque, oltre che la coesistenza dei segni per una lunga durata, anche la buona fede degli operatori e l'assenza di pregiudizi, anche potenziali, alla funzione distintiva del marchio; […]» (cfr. Cass. Civ., ord. n. 630 del 10.1.2025).