Lo sviluppo delle IA solleva profili inesplorati rispetto ai tradizionali modelli di tutela delle invenzioni. Oggi, con le c.d. reti neurali, l’invenzione sembra non essere più unicamente il prodotto dell’intelletto umano. Il numero di invenzioni realizzate autonomamente (si può discutere se si tratti di reale autonomia) da parte dell’intelligenza artificiale è costantemente in crescita. Ma può un Robot essere definito “inventore”? Può l’invenzione di un Robot essere brevettata?
Robot che inventano e Robot inventati
Un’invenzione, per essere brevettabile, e dunque formare oggetto di un’esclusiva di sfruttamento per vent’anni, deve rispondere a tre requisiti:
- deve implicare un’attività inventiva (art. 48 c.p.i.);
- deve essere nuova, ovvero non deve essere compresa nello stato della tecnica (art. 46 c.p.i.);
- deve essere suscettibile di applicazione industriale, ovvero deve poter essere utilizzata in qualsiasi genere dell’industria (art. 49 c.p.i.).
Se prima l’invenzione brevettuale era di esclusivo appannaggio della mente umana, oggi non è più così. Esistono infatti dei programmi operanti con IA di tipo “neurale”. Si tratta di macchine la cui struttura è ispirata al cervello umano, che operano imitando il modo in cui i neuroni biologici si inviano segnali. Sono dunque in grado di elaborare autonomamente degli input che prescindono in tutto o in parte dagli input inseriti da persone fisiche. Ci si chiede allora se possa essere riconosciuta protezione brevettuale a tali input e se, al termine del processo creativo, il prodotto originato dal software sia o meno brevettabile.
Tra le invenzioni realizzate dall’IA si possono annoverare, a titolo esemplificativo, lo schema di setole per lo spazzolino da denti creato da un Robot su richiesta della società Procter & Gamble, titolare del marchio Oral B che commercializza prodotti per l’igiene orale, oppure le innumerevoli IA presenti nel campo medico, quelle che consentono l’identificazione di farmaci e quelle che aiutano i chirurghi a raggiungere nuovi livelli di velocità e precisione durante l’esecuzione degli interventi e, ancora, si pensi al contenitore per alimenti realizzato dal Robot DABUS. Quest’ultimo, in particolare, è diventato famoso perché lo scienziato che lo ideò, il pioniere dell’IA Stephen Thaler, ha tentato altresì di registrare l’innovativo contenitore sotto il nome di DABUS, chiedendo dunque agli Uffici brevetti di tutto il mondo di riconoscere alla macchina la qualifica di “inventore”.
Il caso “Dabus”
In particolare, DABUS (acronimo di “Device for the autonomous bootstrapping of unified sentience”) è una rete neurale artificiale formata da strati multipli di nodi che elaborano segnali e li moltiplicano tra di loro. Grazie alla sua capacità di elaborare dati, la macchina è stata in grado di “inventare”, appunto in via autonoma, un contenitore frattale per alimenti.
Quando lo scienziato, nel 2018, ha avviato il progetto di domande di registrazioni internazionali del brevetto “DABUS”, chiedendo dunque un riconoscimento giuridico al suo Robot, ha dato il via ad un dibattito culturale e normativo volto a sfidare ogni principio di diritto antropocentrico.
Una macchina può essere titolare di diritti? La risposta negativa (e il conseguente diniego alla registrazione del brevetto a nome DABUS) è originata non solo dall’Ufficio europeo dei brevetti, ma anche da quello statunitense. In entrambi i casi, infatti, gli esaminatori hanno riconosciuto in capo all’invenzione in questione la sussistenza di tutti i requisiti per ottenere un brevetto, ma hanno negato la possibilità di assegnare lo stesso all’IA, rilevando, l’uno, la mancanza della personalità giuridica, l’altro, la mancanza di autonomia rispetto alle determinazioni dell’uomo. Infatti, mentre l’EPO (European Patent Office) ha sostento che un sistema di IA in grado di inventare sia collocabile in un futuro indefinito, e dunque si tratti un’ipotesi di pura fantascienza, i giudici USA hanno invece mostrato una maggiore apertura sostenendo che il momento in cui le macchine inventeranno in totale autonomia potrebbe arrivare, ma quel momento non è ancora arrivato (Stephen Thaler, Petitioner v. Katherine K. Vidal, , US Court of Appleals for Federal Circuit, March, 21, 2023).
Diversa, invece l’opinione della Corte federale australiana e dell’Ufficio brevetti del Sud Africa che, al di là di ogni aspettativa, hanno sostenuto che una macchina ben possa essere qualificata come “inventore”. Tale decisione troverebbe il suo fondamento nella volontà di incentivare l’innovazione tecnologica e il progresso che, secondo le predette autorità, verrebbero invece scoraggiati da un diniego alla registrazione del brevetto a nome DABUS.
L’apertura al dibattito culturale e normativo
Ovviamente non stupisce come una simile richiesta, oltre ad aver destato innumerevoli perplessità e soprattutto critiche da parte di numerosi esperti di proprietà intellettuale, abbia al contempo aperto la strada a molti quesiti tutt’altro che banali.
Si fa riferimento in particolare alla problematica inerente allo status giuridico delle macchine, alla loro responsabilità, a quella di coloro che le utilizzano. Non bisogna dimenticare che un elaboratore opera sempre seguendo algoritmi, ovvero sequenze di prescrizioni create dall’uomo. Ciò, tuttavia, non esclude a priori che un software di IA possa agire in modo imprevedibile: anzi questo scenario diviene probabile qualora l’algoritmo contempli variabili e meccanismi di combinazione sempre più numerosi.
Inoltre, come anticipato, l’IA è destinata ad avere un enorme impatto sulle categorie logiche della proprietà intellettuale. Ci si chiede, quindi, a chi occorre attribuire i relativi diritti qualora l’invenzione in questione sia creata da un sistema di IA su incarico di un soggetto diverso dal proprietario dell’IA. Chi godrà dei relativi benefici economici, l’ente giuridico che ha scritto l’algoritmo o colui che detiene la titolarità della macchina? E, ancora, in caso di programma basato su una rete neurale, se non può essere l’IA l’“inventore”, tale qualifica spetta di diritto al programmatore o all’addestratore del sistema?
Un’altra sfida di particolare importanza nel campo delle invenzioni realizzate da IA concerne la delimitazione di ciò che è brevettabile e ciò che non lo è per mancanza di novità. Infatti, molte invenzioni delle IA coinvolgono l’utilizzo di algoritmi che, alle volte, possono essere difficili da distinguere rispetto a quelli che sono di pubblico dominio. Per sopperire a vuoti legislativi l’USPTO (United States Patent and Trademark Office) per esempio provvede alla costante pubblicazione di linee guida che possono aiutare meglio gli inventori in sede di tutela brevettuale. In mancanza di indicazioni più specifiche occorre comunque attenersi al dettato normativo: è necessario che l’invenzione sia nuova, implicante un’attività inventiva e suscettibile di applicazione industriale. Sussistendo tali presupposti nessun Ufficio può avere interesse a negare la concessione di un brevetto di IA, in ragione del fatto che lo sviluppo di sistemi di intelligenza artificiale oggi è essenziale per proteggere l’innovazione e per promuovere il progresso tecnologico.
Ad ogni modo, atteso l’elevatissimo numero di questioni giuridiche irrisolte in questa materia, la sfida futura consisterà nell’esaminare come le legislazioni dei vari paesi e la giurisprudenza faranno fronte a questo fenomeno dirompente.
Considerazioni
A monte di tutte le considerazioni di cui sopra, una risposta al quesito “l’IA può inventare?” può ravvisarsi nella definizione stessa di brevetto di cui all’art. 45 c.p.i. “invenzioni di ogni settore della tecnica, che sono nuove e che implicano attività inventiva e sono atte ad avere un’applicazione industriale”, quindi il brevetto altro non è che la soluzione ad un problema tecnico. Ma chi pone in essere il problema? La risposta è semplice: l’uomo. Dunque, così come un’IA oggi può essere in grado di realizzare in autonomia una sinfonia, un dipinto, o un testo musicale, in base all’apprendimento delle espressioni degli artisti, allo stesso modo la macchina è in grado di creare un oggetto brevettabile qualora venga alimentato da informazioni tecnico-scientifiche provenienti dall’uomo, il quale, quindi, non potrà che essere il soggetto di riferimento dell’invenzione. Infatti, l’uomo ha qualcosa che la macchina non potrà mai avere e che, per fortuna, rende l’essere umano insostituibile in ogni campo in cui l’IA è in grado di intromettersi: l’esperienza. Mentre l’uomo elabora esperienze, l’IA riconosce dati o elabora esperienze trasmessegli dall’uomo.