
La Corte di Cassazione con sentenza n. 3888 dell’11 febbraio 2025 ha chiarito che il risarcimento per discriminazione, infatti, deve avere una funzione oltre che riparatrice anche dissuasiva e sanzionatoria.
Un lavoratore impiegato con una pluralità di rapporti di lavoro a termine alle dipendenze di una fondazione lirico sinfonica adiva il Tribunale di Napoli evidenziando di essere stato discriminato per non avere voluto sottoscrivere una conciliazione per ottenere una nuova offerta di lavoro.
Il Tribunale pur ritenendo che il lavoratore non era stato chiamato in ragione della sua indisponibilità alla firma della conciliazione negava la sussistenza di una discriminazione per la tipicità delle cause di discriminazione. La Corte di Appello di Napoli nel riformare la decisione affermava che il lavoratore era stato discriminato in ragione del suo rifiuto riconducibile alle opinioni personali osservando che in tale categorie non rientrano solo le opinioni politiche o religiose, ma anche ogni altra espressione di pensiero che sia espressione di libertà personale.
Nel liquidare il danno la Corte tuttavia limitava la condanna al solo danno patrimoniale non ritenendo provato il danno non patrimoniale.
La Corte di Cassazione con sentenza n. 3888 dell’11 febbraio 2025 ha accolto il ricorso del lavoratore ricordando la necessità, affermata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, di sanzionare in modo efficace ed adeguato le discriminazioni sui luoghi di lavoro. La Cassazione ha accolto il ricorso, precisando che il risarcimento per discriminazione deve avere una funzione non solo riparatoria, ma anche dissuasiva e sanzionatoria. Richiamando la direttiva 2000/78/CE e il D.Lgs. n. 216/2003, la Corte ha precisato: “il risarcimento del danno non patrimoniale in caso di discriminazione non è subordinato alla prova di uno specifico pregiudizio, poiché l’atto discriminatorio è, di per sé, lesivo della dignità del lavoratore e intrinsecamente umiliante”.
Nell’annullare il capo della sentenza la Suprema Corte ha concluso che l’esclusione del danno morale dalla liquidazione del risarcimento contrasta con i principi di effettività e dissuasività richiesti dal diritto dell’Unione Europea.
Avv. Nicoletta Di Lolli