La naturale onerosità del patto di non concorrenza non è inderogabile, in quanto non presidiata da una sanzione di nullità espressa e non diretta alla tutela di un interesse pubblico generale.
Un agente ricorreva giudizialmente innanzi al Tribunale di Trieste per chiedere il pagamento dell'indennità per patto di non concorrenza post-contrattuale di durata biennale a seguito delle dimissioni rassegnate il 1° luglio 2020 ritenendo nulla la previsione del contratto che prevedeva che una quota delle provvigioni liquidate in costanza di rapporto ricomprendessero il corrispettivo del patto.
Il Tribunale respingeva la domanda con sentenza confermata anche in sede di appello, ritenendo che l’indennità in questione non dovesse essere corrisposta separatamente dalle provvigioni ed al termine del rapporto di agenzia.
La Suprema Corte, con sentenza n. 23331 del 29 agosto 2024, nel respingere il ricorso ha ricordato che la corresponsione di una indennità all'agente commerciale non è prevista a pena di nullità del patto di non concorrenza post contrattuale in quanto l'agente, d'intesa con la preponente, può espressamente stabilire che all'obbligo assunto non sia correlato un corrispettivo, atteso che la non specifica valorizzazione economica dell'impegno può giustificarsi come conveniente nel contesto dell'intero rapporto di agenzia. Ne consegue – conclude la cassazione - che anche nel vigore della nuova disciplina, la naturale onerosità del patto di non concorrenza non è inderogabile, in quanto non presidiata da una sanzione di nullità espressa e non diretta alla tutela di un interesse pubblico generale.
Nel respingere il ricorso la Suprema Corte ha pertanto affermato la derogabilità sia nell’an che nel quomodo della disciplina del patto di non concorrenza ad opera delle parti e l'inesistenza della nullità della clausola contrattuale che ha previsto la liquidazione anticipata di un'indennità di natura provvigionale.
Avv. Nicoletta Di Lolli