Riapplicazione del Regolamento AGCOM in materia di equo compenso

Riapplicazione del Regolamento AGCOM in materia di equo compenso
Dopo una prima battuta di arresto operata dal Tar per il Lazio – che con la sentenza n. 18790/2023 aveva disposto la sospensione del Regolamento AGCOM “in materia di individuazione dei criteri di riferimento per la determinazione dell’equo compenso per l’utilizzo online di pubblicazioni di carattere giornalistico” ai sensi dell’art. 43-bis LDA – l’11 marzo scorso il Consiglio di Stato, con ordinanza in accoglimento del ricorso dell’Autorità contro Meta Platforms Ireland Limited, ha interrotto la fase di stallo e reso nuovamente operativo il Regolamento (precisamente, la delibera n. 3/23/CONS e relativi allegati) per la negoziazione dell’equo compenso tra editori e fornitori di servizi della società dell’informazione.

L’art. 43-bis LDA

Come noto, con l’introduzione dell’art. 43-bis nella Legge n. 633/1941 sul diritto d’autore (“LDA”) in attuazione dell’art. 15 della Direttiva (UE) 2019/790 (“Direttiva Copyright”), il Legislatore italiano ha riconosciuto agli editori di pubblicazioni di carattere giornalistico, per l’utilizzo online delle loro pubblicazioni di carattere giornalistico da parte dei fornitori di servizi della società dell’informazione (ISP), i diritti esclusivi di riproduzione e comunicazione, con conseguente diritto degli editori a vedersi corrisposto dai medesimi prestatori di servizi un equo compenso per l’utilizzo online di tali pubblicazioni. L’idea di fondo del Legislatore europeo era appunto quella di risolvere il vulnus legato al cd. value gap tra editori e ISP, ossia il divario fra i ricavi dei prestatori e degli editori derivanti dallo sfruttamento online dei contenuti protetti dell’editore.

Peraltro, in attuazione del comma 8 dell’art. 43-bis LDA, nel gennaio 2023 l’AGCOM – mediante la delibera n. 3/23/CONS e relativi allegati – ha poi approvato il Regolamento in materia di individuazione dei criteri di riferimento per la determinazione di detto equo compenso, il quale fornisce agli editori e agli ISP uno strumento per la relativa negoziazione. Tale Regolamento – che fornisce alle parti strumenti sia a livello sostanziale, ossia rispetto ai parametri individuati per la negoziazione stessa, sia a livello formale, ossia rispetto al meccanismo definitorio dell’accordo – in ogni caso non pregiudica la trattativa privata o il ricorso all’autorità giudiziaria.

Il ricorso di Meta al Tar

Nel 2023 il noto colosso del web Meta Platforms Ireland Limited, fornitore, tra gli altri, del servizio Facebook, presentava ricorso al Tar per il Lazio per la declaratoria di nullità e/o annullamento della citata delibera n. 3/23/CONS e dei relativi allegati. In particolare, esponeva come alcuni utenti – professionali – di Facebook utilizzassero detto social per promuovere i propri prodotti o servizi: tra di essi, gli editori, che lo utilizzano per condividere estratti o link ai propri contenuti in modo da indirizzare gli utenti Facebook al proprio sito web mediante collegamento ipertestuale agli estratti giornalistici pubblicati sul social. In questo contesto, osservava la ricorrente, “la stragrande maggioranza dei contenuti giornalistici su Facebook è pubblicata volontariamente dagli stessi editori”; solo una piccola parte è pubblicata da utenti terzi e “Meta Platforms non raccoglie, estrae, gestisce, organizza o condivide attivamente né i collegamenti ipertestuali né i contenuti delle pubblicazioni giornalistiche su Facebook”. Rispetto poi ai profili di diritto, secondo Meta il Regolamento AGCOM risultava incompatibile con il diritto dell’Unione Europea e con i diritti fondamentali della Costituzione italiana; precisamente:

  • si discosta dall’art. 15 della Direttiva Copyright e introduce una procedura che consente all’Autorità di determinare in modo arbitrario l’importo dell’equo compenso;
  • prevede obblighi onerosi unilaterali (a carico degli ISP) non disposti a livello europeo;
  • viola i diritti fondamentali di Meta (ivi compresi la libertà negoziale e di impresa) e si pone in contrasto con il principio del Paese d’Origine e con la direttiva (UE) 2015/1535.

Parallelamente, Meta formulava istanza di rinvio pregiudiziale alla CGUE e di rimessione degli atti alla Corte Costituzionale e proponeva istanza di sospensione dell’esecuzione della delibera n. 3/23/CONS e relativi allegati (tra cui il Regolamento stesso, individuato appunto nell’allegato A).

Si costituivano, dunque, AGCOM e FIEG (Federazione Italiana Editori Giornali). E seguiva poi la pronuncia del Tar, che se, da un lato, rimetteva alla CGUE alcune pregiudiziali, dall’altro, sospendeva l’esecuzione degli atti impugnati nelle more di detto giudizio.

L’appello di AGCOM

Non mancava, dunque, l’opposizione dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni che, nel proporre appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo, evidenziava la carenza di motivazione rispetto alla sussistenza dei relativi presupposti.

In particolare – tra i plurimi motivi sollevati – l’Autorità rilevava come nel provvedimento non fossero stati evidenziati il danno grave e irreparabile derivante dall’applicabilità del Regolamento nelle more della pregiudiziale UE e come non sussistesse alcun periculum in mora. Sul punto, infatti, nel giudizio di primo grado Meta lamentava la sussistenza di un evidente rischio sanzionatorio per il mancato rispetto degli obblighi (derivanti dal combinato disposto legislativo e regolamentare) connessi alla messa a disposizione dei dati; il tutto con oneri connessi alla progettazione e adozione di un sistema per far fronte agli obblighi di relativa divulgazione. Senza contare peraltro gli oneri significativi – ad avviso di Meta – “in relazione alla preparazione e alla gestione della difesa nei potenzialmente molteplici procedimenti” di determinazione dell’equo compenso avanti all’AGCOM “nonché all’imposizione di determinazioni AGCOM sull’equo compenso stesso”.

Ebbene, secondo AGCOM non sussisteva alcun periculum in mora, trattandosi appunto “di ipotetico danno di natura meramente patrimoniale”: in tal senso, il mero pregiudizio economico (soprattutto rispetto a un colosso del web come Meta) non poteva essere preso a fondamento di una misura cautelare.

AGCOM osservava poi come la concessione di una tale misura cautelare – che prevede una sospensione erga omnes dell’efficacia del Regolamento – sarebbe stata tale da determinare un vulnus di tutela rispetto all’intera categoria degli editori (che, quindi, “risulterebbero privati dello strumento apprestato” dall’ordinamento “per rendere effettiva quella tutela accordata dalla norma europea”) a fronte di una richiesta proposta da un singolo operatore online.

Si costitutiva, quindi, Meta, che chiedeva (tra le varie conclusioni rassegnate) di respingere l’appello di AGCOM perché inammissibile o infondato.

Le conclusioni del Consiglio di Stato

Chiamati, dunque, ad appurare l’esistenza o meno dei presupposti per disporre la misura cautelare, i Giudici di Palazzo Spada hanno osservato come i pregiudizi prospettati da Meta non fossero né concreti e attuali – trattandosi appunto di un “rischio sanzionatorio” – né tantomeno gravi e irreparabili – trattandosi in questo caso di possibili perdite patrimoniali, notoriamente ristorabili.

Tali pregiudizi, secondo il Collegio, non sarebbero neppure conseguenza del Regolamento AGCOM in sé e per sé considerato, ma semmai delle eventuali iniziative che l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni potrebbe adottare sulla scorta di questo. Il Regolamento, infatti, prevede sì un meccanismo per giungere ad un accordo tra editori e ISP, ma, mantiene ferma la possibilità di adire il giudice competente. E, da ultimo, qualora “le informazioni avessero natura di segreto professionale, sussisterebbero le preclusioni alla loro rivelazione” disposte ai sensi degli articoli 622 e 623 del codice penale.

Ritenendo, quindi, che non sussistesse il requisito del periculum in mora, il Consiglio di Stato ha rigettato l’istanza cautelare proposta da Meta avanti al Tar, con conseguente riapplicazione della delibera n. 3/23/CONS e dei relativi allegati.

Ebbene, come l’araba fenice, ecco dunque che, almeno per il momento, il Regolamento AGCOM risorge dalle ceneri, dispiegando i propri effetti per editori e ISP in ordine alla negoziazione dell’equo compenso.

Avv. Francesca Folla

 
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