La Corte di Cassazione con una recente sentenza ha affermato che l’omissione dello stato di gravidanza determina una ipotesi di decadenza con conseguente nullità del contratto che deriva dall’aver sottaciuto ovvero mentito su una condizione ostativa di lavoro, infungibile con le mansioni assegnate alla lavoratrice.
Un medico psichiatra, assunta con contratto a termine, in sostituzione di altro medico assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro, dopo aver stipulato il contratto dichiarava, nel corso delle visite preliminari al suo impiego, di essere in stato interessante. A seguito di un confronto con il responsabile delle risorse umane della struttura sanitaria dapprima le veniva impedito di prendere servizio il giorno indicato nel contratto di assunzione per i rischi della gravidanza e in un secondo momento la struttura sanitaria procedeva in autotutela all’annullamento della delibera di assunzione.
La lavoratrice adiva il Tribunale di Tivoli impugnando la determina di autotutela e richiedendo la condanna della struttura sanitaria al risarcimento del danno. Il Tribunale di Tivoli respingeva il ricorso con sentenza confermata dalla Corte di Appello di Roma che dichiarava la legittimità dell’autotutela esercitata dalla pubblica amministrazione rispetto alla delibera di conferimento dell'incarico, atteso che ai sensi dell'articolo 7, All. A, lettera L del d.lgs 151/11 la gravidanza impedita lo svolgimento per l'intero periodo di lavoro. La Corte inoltre evidenziava che la lavoratrice aveva comunque tratto in errore la controparte, avendo fatto riferimento, in sede di visita, alla regolarità del proprio ciclo mestruale ed avendo in sostanza celato lo stato di gravidanza.
La Suprema Corte con sentenza n. 16785 del 13 giugno 2023 ha respinto il ricorso della lavoratrice ritenendo che l’omissione dello stato di gravidanza determinava una ipotesi di decadenza con conseguente nullità del contratto che derivava dall’aver sottaciuto ovvero mentito su una condizione ostativa di lavoro, infungibile in quanto la lavoratrice non poteva essere impiegata nelle mansioni di assistenza agli infermi nè spostata in altra attività. La Suprema Corte ha quindi ritenuto che a fronte di un contratto a termine per esigenze sostitutive per un incarico con tratti di spiccata professionalità, non può' esservi luogo a ragionare in termini di allocazione altrove della gestante che sia stata assunta a tempo determinato e proprio e solo per quello specifico fine.
L’assunzione ove non revocata con l’autotutela avrebbe imposto una reiterazione del medesimo contratto con altro sostituto, il che significherebbe piena vanificazione del programma negoziale, inevitabilmente rigido data la natura dell'incarico.
In conclusione, i Giudici hanno affermato che l'impedimento determina un difetto originario e radicale del contratto, impossibilitato ad essere attuato, secondo il programma negoziale in esso incorporato, per tutta la sua durata. Sulla base di tale valutazione la Cassazione ha ricondotto la fattispecie “all'intersezione” tra l'ipotesi di una sostanziale impossibilità giuridica dell'oggetto (la prestazione resa non poteva infatti essere resa) ed al contempo di una illiceità' della causa in concreto (perche' l'attuazione di quello scambio si sarebbe posta in contrasto con il divieto di legge), in ogni caso ipotesi tutte destinate ad integrare la nullità ai sensi dell'articolo 1418 c.c., comma 2.
Avv. Nicoletta Di Lolli