A Washington la corte del distretto di Columbia nega all' Intelligenza Artificiale la possibilità di essere riconosciuta autrice di un' opera d' arte, mancandole quel carattere di creatività intellettuale che la legge sul diritto d' autore riserva all' uomo.
Facendo seguito a un precedente articolo precedentemente pubblicato, prosegue l’analisi del punto di vista statunitense sulla possibilità o meno di riconoscere un’Intelligenza Artificiale (“IA”) come creatrice di opere d’arte. Difatti, in seguito alla decisione del 14 febbraio 2022 del Copyright Review Board dello U.S. Copyright Office con cui si rigettava la richiesta di registrazione dell’opera d’arte intitolata “A Recent Entrance to Paradise” a nome dell’AI “Creativity Machine” di Steven Thaler, quest’ultimo ha ritenuto di proporre impugnazione avanti alla U.S. District Court for the District of Columbia, che si è espressa con ordinanza del 18 agosto 2023, confermando la decisione del Copyright Office e rigettando le pretese del Sig. Thaler.
La tesi del Sig. Thaler
Il Sig. Thaler ha ribadito avanti alla Corte Distrettuale la sua posizione già sostenuta avanti allo U.S. Copyright Office e alle corti e uffici di Australia, Unione Europea e Sud Africa (v. precedente articolo), ovvero che la sua Creativity Machine fosse l’autrice dell’opera. Il Sig. Thaler ritiene, infatti, che il programma da lui creato sia dotato di intelligenza, essendo quindi la macchina l’entità autonoma creatrice dell’opera d’arte visiva, mentre a lui, creatore dell’algoritmo sottostante, sarebbero spettati i diritti d’autore applicando analogicamente la teoria americana del “work-for-hire” normalmente utilizzato nei rapporti tra datore di lavoro e dipendente che crea un’opera nell’ambito delle proprie mansioni. Nella visione del Sig. Thaler il rigetto del Copyright Office sarebbe stato arbitrario, in abuso della discrezionalità concessa all’autorità e contro la legge.
La posizione dello U.S. Copyright Office: solo un essere umano può essere autore
L’ufficio americano che registra le opere coperte da copyright al fine di garantire una prova certa sulla data di creazione dell’opera – poiché i diritti morali e economici dell’autore nascono indipendentemente al momento stesso della creazione dell’opera e a prescindere dalla registrazione – si è opposto alle reiterate richieste, allineandosi all’orientamento maggioritario internazionale, sostenendo quindi che la paternità umana è necessaria al fine di presentare una domanda di registrazione di copyright, poiché la legge prevede che le opere debbano essere create da esseri umani in qualità di autori capaci di esprimersi intellettualmente in maniera originale. Pertanto, non solo l’opera non era registrabile, ma non era mai stata protetta da copyright fin dal principio, non essendo stata creata da un essere umano.
La decisione della Corte
La questione legale attorno a cui ha ruotato il provvedimento è stata quindi se un’opera artistica generata autonomamente da un computer ricadesse sotto la protezione concessa dal diritto d’autore dal momento della sua creazione. La Corte non ha seguito il ragionamento del Sig. Thaler, secondo cui si sarebbe trattato di un’opera su commissione (work-for-hire doctrine), poiché tale teoria si sarebbe concentrata troppo sulla titolarità della registrazione prima ancora di risolvere il dilemma della presenza o meno del copyright sull’opera.
La Corte ha infatti deciso di abbracciare l’interpretazione data dall’ufficio statunitense, riconoscendo che la legge americana ammette protezione autorale solo ai lavori di creazione umana. Sebbene la Corte abbia riconosciuto che il diritto d’autore sia stato costruito in modo da adattarsi all’evoluzione dei tempi e ai sempre nuovi mezzi di espressione, la creatività umana rimane la condizione sine qua non al centro di tutto il sistema. Fino a che la legge richiederà la presenza di un autore, inteso come origine umana del lavoro intellettuale e creativo per il progresso della scienza e delle arti per il bene comune, il quale possa godere di un diritto esclusivo allo sfruttamento delle proprie opere, gli algoritmi, che non necessitano di incentivi e promesse di ottenere diritti esclusivi, non riceveranno alcuna tutela per le loro opere, così come già affermato in caso di libri scritti da “entità divine” (Urantia Found. v. Kristen Maaherra, 114 F.3d 955, 958–59 (9th Cir. 1997)) e foto scattate da macachi (Naruto c. Slater, 888 F.3d 418, 420 (9th Cir. 2018)). Se al legislatore statunitense, e non solo, interesserà incentivare lo sviluppo dell’IA ed evitare che le opere da questo create cadano subito in pubblico dominio, sarà quindi necessario prevedere una specifica disciplina ad hoc.