Intelligenza Artificiale creatrice di opere d’arte: sogno o realtà?

Intelligenza Artificiale creatrice di opere d’arte: sogno o realtà?

Se negli ultimi anni si sta assistendo ad una fiorente primavera nel campo dello sviluppo dell’Intelligenza Artificiale (“AI” da “Artificial Intelligence”), è lecito chiedersi se gli attuali impianti normativi e la loro interpretazione giurisprudenziale saranno pronti al prossimo futuro tsunami di controversie correlate allo sviluppo e uso dell’AI o se sconteranno il fisiologico ritardo rispetto all’avanzamento della tecnica.

Questa seconda ipotesi è stata confermata da una recente decisione del Review Board dell’U.S. Copyright Office, che ha rigettato per la seconda volta la richiesta di registrazione di un’opera d’arte visiva che riportava come autrice un’Intelligenza Artificiale, la “Creativity Machine” di Steven Thaler, medesimo creatore di DABUS.

La scena internazionale sul riconoscimento dell’attività inventiva di un’AI

Steven Thaler è il creatore di complessi algoritmi che sfruttano le teorie computazionali e di machine learning sulla base di una rete neurale artificiale che mira a riprodurre il procedimento creativo dei neuroni umani e, sostenuto anche dall’attività lobbista dell’Artificial Inventor Project, con la sua AI “DABUS” nel luglio 2021 è riuscito ad ottenere in Sud Africa la registrazione del primo brevetto della storia che riporta come inventore della formula chimica brevettata unicamente l’AI DABUS, mentre Thaler risulta solo come soggetto richiedente.

Simili richieste di registrazione sono state invece rigettate negli Stati Uniti, in Unione Europea e in Australia. In quest’ultimo Stato, sempre nel luglio 2021, la Corte Federale Australiana aveva accolto in primo grado la teoria di Thaler, a seguito di un suo ricorso contro il rigetto della richiesta fatta alla Commissione Brevetti australiana, salvo poi ribaltare completamente tale risultato in secondo grado il 13 aprile 2022 in accoglimento del ricorso del Commissioner of Patent australiano, a parere del quale, similarmente a quanto già affermato in Nord America ed Europa, solo un essere umano può essere dichiarato inventore di un brevetto.

L’AI non è inventore e nemmeno artista: la decisione dell’U.S. Copyright Office

In parallelo a questi tentativi, Steven Thaler ha voluto dimostrare che l’intelligenza artificiale non solo può creare nuove invenzioni, ma anche delle vere e proprie opere d’arte. Difatti, fin dal 2018 ha chiesto la registrazione presso il Copyright Office degli Stati Uniti di un’opera d’arte bidimensionale intitolata “A Recent Entrance to Paradise” creata autonomamente dall’AI “Creativity Machine” di Thaler, ovvero un algoritmo che ha rielaborato diverse immagini per costruirne di nuove che dovrebbero rappresentare una vita fittizia dopo la morte.

Il 14 febbraio 2022 il Copyright Review Board si è espresso per la seconda e ultima volta in merito alla richiesta di riconsiderazione del diniego di registrazione dell’opera, soffermandosi sulle motivazioni che impediscono il riconoscimento di un’intelligenza artificiale quale autrice di un’opera d’arte. In particolare, la Commissione ha chiarito che sebbene non sia espressamente menzionata la necessità che l’autore sia un essere umano all’interno del Titolo 17 dello U.S. Code dedicato al diritto d’autore, le corti americane, inclusa la Suprema Corte, hanno da sempre limitato le tutele previste dalla legge alle opere create da autori umani, negando tali garanzie a libri presuntivamente scritti da divinità [Urantia Foundation v. Kristen Maaherra, 114 F.3d 955, 957–59 (9th Cir. 1997)] o a fotografie scattate dai primati [Naruto v. Slater, 888 F.3d 418, 426 (9th Cir. 2018)]. L’intelletto umano sarebbe quindi l’unica possibile fonte di attività creativa tutelabile con le garanzie previste dal diritto d’autore.

Una delle principali argomentazioni di Thaler era l’applicabilità della c.d. “work made for hire doctrine” ovvero il principio per cui anche persone giuridiche, quali le società, possono essere ritenute autrici di un opera e godere dei relativi diritti, paragonabile al principio per cui in Italia il datore di lavoro, inclusi gli enti pubblici o privati senza scopo di lucro, hanno la titolarità delle opere o invenzioni create dai lavoratori dipendenti o da soggetti esterni che operano a loro nome e per loro conto. La Commissione però fa notare che secondo il diritto americano tale dottrina è applicabile solo quando l’opera è creata (a) da un impiegato persona fisica, o (b) da un soggetto che ha espressamente sottoscritto un contratto in tal senso, e nessuna delle due ipotesi è concepibile nel caso dell’intelligenza artificiale.

Pertanto, in considerazione del fatto che Thaler non ha mai sostenuto di essere riconosciuto anch’egli autore né di aver contribuito pur in minima parte alla creazione dell’opera, stante la normativa esistente e l’interpretazione giurisprudenziale e dottrinale del concetto di “autore”, la Commissione non ha potuto far altro che rigettare l’istanza di registrazione.

La rilevanza della registrazione negli Stati Uniti ed il futuro delle opere create da AI

L’insistenza di Thaler, oltre che motivata dalla posizione di principio che punta ad ottenere il riconoscimento della parificazione uomo-macchina, si spiega anche con la necessità della registrazione delle opere d’arte secondo la U.S. Copyright Law per far valere i diritti di sfruttamento economico dell’opera, agendo in giudizio e chiedendo danni e risarcimento di costi e compenso degli avvocati (Titolo 17 dello U.S. Code, sec. 411 e 412), requisito non richiesto dalla Legge sul Diritto d’Autore italiana (L. n. 633/1941) stante il generale principio per cui le opere tutelate dal diritto d’autore vengono protette dal momento della loro creazione ed espressione esterna, potendosi al massimo effettuare un deposito facoltativo presso la SIAE al fine di assicurarsi una prova certa dell’esistenza dell’opera e del legame con l’autore.

La questione, come dimostrato dalle scelte del Sud Africa, è molto politica, ma il legislatore, quando deciderà di agire in merito, non potrà dimenticare l’indicazione data dalle Corti e dalle Commissioni europee e americane sul vero motivo per cui l’intero impianto del diritto della proprietà industriale e intellettuale è stato pensato, ovvero la tutela dell’intelletto umano, il favore per lo sviluppo ed il miglioramento dell’attività creativa ed inventiva dell’uomo: il vero creatore, almeno per il mondo dei rapporti giuridici, rimarrà l’uomo che ha inventato l’algoritmo o colui che se ne è servito per ottenere l’opera.

Dott.ssa Chiara Arena

Newsletter

Iscriviti per ricevere i nostri aggiornamenti

* campi obbligatori