
Con sentenza n. 347 del 31.1.2025, il Tribunale di Bari ha affermato che deve ritenersi responsabile per l’illecito concorrenziale il rivenditore che commercializza beni – nel caso di specie, prodotti di abbigliamento tecnico-sportivo – recanti il marchio di titolarità di un soggetto terzo, in assenza di autorizzazione dello stesso.
Riferimenti normativi.
Nella fattispecie in esame vengono in rilievo, in particolare, gli artt. 20, 22 c.p.i. e gli artt. 2569 e 2598 c.c.
In dettaglio, l’art. 2569 c.c. stabilisce che “chi ha registrato nelle forme stabilite dalla legge un nuovo marchio idoneo a distinguere prodotti o servizi ha diritto di valersene in modo esclusivo per i prodotti o servizi per i quali è stato registrato”; l’art. 20 c.p.i. dispone anch’esso il diritto di utilizzo esclusivo del marchio registrato da parte del suo titolare; l’art. 22 c.p.i., a sua volta, prevede il divieto di “adottare come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio di un sito usato nell’attività economica o altro segno distintivo un segno uguale o simile all’altrui marchio se, a causa dell’identità o dell’affinità tra l’attività di impresa dei titolari di quei segni ed i prodotti o servizi per i quali il marchio è adottato, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni”.
Ancora, ai sensi dell’art. 2598, c. 1., c.c., compie atti di concorrenza sleale chiunque «1) usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l'attività di un concorrente». La norma in esame trova la sua ratio nella tutela contro la “confondibilità”, prevedendo, dunque, che l’utilizzo di segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi già utilizzati legittimamente da altri integra l’atto di concorrenza sleale. In altre parole, condicio sine qua non di qualsiasi illecito concorrenziale ex articolo 2598 n. 1 c.c. è la sussistenza di una concreta potenzialità confusoria.
La responsabilità del rivenditore.
La registrazione del marchio offre tutela al titolare di diritti di esclusiva per ogni fase della filiera relativa al prodotto oggetto di copertura, dalla sua fabbricazione alla vendita finale. Dunque, deve ritenersi responsabile per l’illecito concorrenziale anche il riveditore – la cui colpa, ex art. 2600, c. 3, c.c., si presume – per non aver verificato la sussistenza dell’autorizzazione all’utilizzo del marchio di titolarità di terzi in relazione ai prodotti commercializzati.
Come chiarito dal Tribunale, per andare esente da responsabilità, il rivenditore, dunque, avrebbe dovuto fornire la prova liberatoria, consistente nell’autorizzazione alla vendita di tutti i prodotti con marchio altrui detenuti nei propri negozi.