Le somme utilizzate dal fallito per eseguire pagamenti dal conto corrente scoperto rientrano nella sua disponibilità?

Le somme utilizzate dal fallito per eseguire pagamenti dal conto corrente scoperto rientrano nella sua disponibilità?
Con ordinanza n. 7957 del 2024 la Corte di Cassazione si pronuncia sulla applicabilità dell’art. 44 l. fall. al caso in cui il correntista fallito utilizzi il conto scoperto per l’esecuzione di pagamenti mediante assegno incassati dopo la sentenza dichiarativa di fallimento.

Con l’ordinanza in commento la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata sul ricorso proposto da un noto istituto di credito contro il Fallimento di una società che pretendeva - in forza dell’art. 44 co. 1, l. fall.- la restituzione da parte della banca di una somma di denaro corrispondente ai pagamenti di alcuni assegni bancari tratti dalla società fallita sul conto corrente acceso presso la banca e presentati all’incasso dai portatori degli assegni proprio alla data di dichiarazione di fallimento. I pagamenti erano stati eseguiti dall’istituto di credito ancorché il conto risultasse scoperto di provvista.

Il Giudice di prime cure, per l’effetto dell’art. 44 l. fall. (che prevede che tutti i pagamenti eseguiti dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori), condannava la banca alla restituzione al Fallimento degli importi pagati ai portatori dei titoli, ritenendo che tali pagamenti, proprio perché effettuati successivamente alla dichiarazione di fallimento, fossero inefficaci verso i creditori.

Il giudice del gravame, confermando la ricostruzione del Tribunale, avvalorava la circostanza secondo cui le somme utilizzate per i pagamenti erano nella disponibilità del fallito in forza di un “contratto di apertura di credito in conto corrente in senso proprio” o comunque di “concessioni temporanea di credito” proprio perché i pagamenti erano estati eseguiti non con la provvista del correntista fallito ma con il credito concesso dalla banca.

L’istituto di credito ricorrente proponeva ricorso per Cassazione lamentando la violazione e falsa applicazione dell’art. 44 l. fall. in quanto - non essendo prevista la forma scritta del contratto di apertura di credito (richiesta ad substantiam) - non era possibile provarne l’esistenza per fatti concludenti con conseguente inapplicabilità dell’art. 44 l. fall. per mancata inerenza degli atti dispositivi del pagamento con il patrimonio del fallito.

La Suprema Corte accoglieva il ricorso della banca e cassava la sentenza impugnata così chiarendo: “il fatto che al correntista sia permesso di compiere operazioni in uscita in difetto di provvista sul conto non prova certo che questi ha la disponibilità delle relative somme, ma è solo indice della tolleranza della banca allo scoperto”.

Inoltre, secondo gli Ermellini, la Corte di Appello aveva ignorato la circostanza secondo cui, ai sensi dell’art 78 l. fall, il rapporto di conto corrente e tutti i rapporti ad esso collegati si sciolgono per il fallimento di una delle parti proprio al fine di cristallizzare tutti i rapporti creditori/debitori del soggetto fallito alla data del fallimento.

Anche alla luce di tale ricostruzione, secondo la Corte, andava radicalmente escluso che l’esecuzione di un pagamento dopo lo scioglimento del rapporto di conto corrente potesse dirsi

effettuato a mezzo di somme rientranti nella disponibilità del fallito; doveva invece ribadito che tale pagamento era stato eseguito con fondi propri della banca, con conseguente esclusione dell’applicabilità dell’art. 44 l. fall. al caso di specie.

Avv. Mattia Collalti

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