Il caso dell’”Uomo vitruviano”: un puzzle senza tutte le autorizzazioni

Il caso dell’”Uomo vitruviano”: un puzzle senza tutte le autorizzazioni
L’ordinanza del 24 ottobre 2022 del Tribunale di Venezia ha stabilito che la celebre opera di Leonardo da Vinci non possa essere raffigurata per fini commerciali da Ravensburger, azienda leader nel settore dei giocattoli, senza un’apposita autorizzazione da parte delle Gallerie dell’Accademia di Venezia.

La vicenda è sorta in merito all’utilizzo e alla riproduzione a fini di lucro dell’immagine dell’”Uomo vitruviano” (“Opera”), realizzata da Leonardo da Vinci nel 1490 circa e custodita nelle Gallerie dell’Accademia di Venezia, da parte delle società Ravensburger AG, Ravensburger Verlag GmBH e Ravensburger S.r.l. (“Ravensburger”) tramite la commercializzazione di puzzle recanti tale Opera. In particolare, il ricorso avanzato dalle Gallerie ha riguardato l’uso di immagine per motivi di merchandising, in assenza di alcuna concessione preventiva da parte delle Gallerie stesse, che avrebbe invece comportato una quota da applicare sul prezzo al pubblico del prodotto.

Giurisdizione e competenza

In primo luogo, dopo una prima ordinanza in cui il Tribunale di Venezia aveva dichiarato la propria incompetenza territoriale in favore del Tribunale di Milano, in sede di reclamo ha invece confermato che la sede competente fosse quella della città lagunare, affermando che per la giurisdizione e competenza non è determinante il luogo di commercializzazione, distribuzione e promozione dei puzzle e che la asserita condotta illecita non è collocabile fisicamente in un luogo determinato; la competenza va radicata a Venezia in quanto luogo del domicilio del soggetto danneggiato, luogo in cui si è verificato il danno risarcibile e in cui si realizzano le ricadute negative della lesione. È infatti a Venezia che è conservato l’Uomo vitruviano ed è a Venezia che hanno sede le Galleria dell’Accademia, cui deve essere chiesta l’autorizzazione per la riproduzione e l’uso dell’opera.

L’applicazione del “Codice dei Beni Culturali e del paesaggio”

Il Tribunale ha poi rilevato che la legge applicabile al caso di specie fosse quella italiana, poiché è lo Stato in cui si verificano le conseguenze immediate dell’illecito, in cui è custodito il bene culturale e dove è domiciliato il museo che ha in consegna l’opera. Il giudice ha ritenuto quindi di applicare il “Codice dei Beni Culturali e del paesaggio” (D. lgs. 42/2004, “Codice”), invocato dai ricorrenti e su cui si erano opposte le resistenti, che rappresenta un unicum a livello europeo, in quanto con esso si intende tutelare al meglio un interesse ritenuto essenziale per l’Italia, famosa proprio per il suo patrimonio storico-artistico e culturale. In particolare, l’art. 108 di tale Codice demanda all’Amministrazione custode dell’opera il potere di autorizzare o concedere la riproduzione dell’immagine del bene, determinando anche i canoni di concessione e i corrispettivi della riproduzione. La convenuta Ravensburger ha sempre riconosciuto il fatto di aver riprodotto l’immagine dell’opera, utilizzandone il nome per scopo di lucro (tramite la vendita dei puzzle sui mercati tradizionali e online, sia in territorio italiano che europeo), senza una preventiva autorizzazione delle Galleria dell’Accademia e senza aver mai corrisposto alcun canone di concessione, nonostante la prima diffida fosse stata inviata dal museo nel 2019. La condotta di Ravensburger costituisce quindi un illecito determinante un danno risarcibile: esso è costituito dallo svilimento dell’immagine e della denominazione dell’opera, oltre che dalla perdita economica patita dal museo.

Inoltre, il Tribunale ha affermato che questo sfruttamento dell’Uomo vitruviano svilisce l’immagine e il nome dell’opera stessa, causando un danno irreparabile e imminente. Esso è determinato dal perpetuarsi dell’utilizzo incontrollato, a fini commerciali, della riproduzione dell’opera da parte delle società del gruppo Ravensburger, riconosciuto dal Tribunale stesso come leader a livello europeo nel commercio di giocattoli. In particolare, l’irreparabilità del danno consiste nella gravità della lesione che per anni è stata realizzata nei confronti dell’immagine e del nome dell’Opera, danneggiato per il solo fatto di essere stato oggetto di una riproduzione indiscriminata, senza una preventiva autorizzazione del museo. La condotta è poi perdurata per anni (fin dal 2009) e il giudice ha stabilito che, al contrario di quanto sostenuto da Ravensburger, non sussiste un onere o un obbligo per le parti reclamanti di effettuare un controllo costante sul mercato, al fine di verificare periodicamente la presenza di prodotti che riproducono in maniera illecita l’immagine e il nome delle opere custodite nelle Gallerie.

Il Tribunale ha quindi, in conclusione, ritenuto che fosse fondata la domanda di inibitoria, richiesta dalle Gallerie e giustificata dall’indebito uso e dalla riproduzione dell’immagine e del nome dell’opera, stabilendo anche la sanzione di 1.500 € dovuta per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento. Non è stato invece disposto l’ordine di ritiro dal commercio e la distruzione dei puzzle già distribuiti, demandandone l’eventuale richiesta all’esito del giudizio di merito.

Brevi cenni al contrasto con la Direttiva Copyright

È interessante notare come il Tribunale abbia applicato esclusivamente le disposizioni previste dal “Codice dei Beni Culturali”, senza fare riferimento alcuno a quanto statuito dalla cd. “Direttiva Copyright” (Direttiva 2019/790 sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale), il cui art. 14 stabilisce che, alla scadenza della durata di protezione di un’opera delle arti visive, il materiale derivante dalla riproduzione di tale opera non sia più soggetto al diritto d’autore o a diritti connessi. Il legislatore italiano ha recepito tale articolo tramite il d. lgs. 177/2021, introducendo l’art. 32-quater alla legge 633/1941 sul diritto d’autore e non modificando comunque quanto già previsto, in materia di riproduzione dei beni culturali, dal suddetto Codice. Emerge quindi un apparente contrasto tra la normativa nazionale contenuta nel Codice dei Beni Culturali, che appunto, agli artt. 108-109, sembra introdurre una royalty obbligatoria a favore degli enti che hanno in custodia le opere artistiche, e quanto invece viene stabilito dalla Direttiva Copyright: resta dunque da capire come e se avverrà in futuro un’armonizzazione tra le diverse disposizioni.

Un caso analogo è emerso lo scorso mese di ottobre, dal momento che la Galleria degli Uffizi di Firenze ha diffidato l’azienda Jean-Paul Gaultier, per la riproduzione, senza autorizzazione, dell’immagine della “Venere” di Botticelli, conservata ed esposta nel museo toscano, in una collezione di capi di abbigliamento. Prima ancora, il Tribunale di Firenze, con l’ordinanza dell’11 aprile 2022, si era espresso in maniera analoga al Tribunale di Venezia per l’utilizzo dell’immagine del David di Michelangelo nella produzione di statue simili ad essa. Sarà quindi da vedersi se le prossime decisioni in merito continueranno a mantenere il medesimo orientamento giurisprudenziale, che non considera l’applicazione della Direttiva Copyright, o se vi saranno dei cambiamenti in materia.

Avv. Chiara ArenaDott. Lapo Lucani

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