Se in Italia si lavora sulla predisposizione degli strumenti normativi che possano accompagnare il quadro regolatorio dell’Artificial Intelligent ACT (cfr. DDL approvato dal Consiglio dei Ministri il 23 aprile 2024), oltreoceano si pensa a strumenti diretti- più che ad una regolamentazione- alla limitazione dell’uso dei dati protetti.
Il deputato democratico californiano Adam Schiff è il firmatario di un disegno di legge denominato Generative AI Copyright Disclosure Act of 2024, avente ad oggetto l’obbligo di notifica da parte dei generatori di intelligenza artificiale dell’uso dei contenuti autorali quando essi siano utilizzati per “allenare” software.
Nel dettaglio, il disegno di legge introduce l’obbligo di notifica da parte dei generatori dei modelli di intelligenza artificiale nei confronti dell’US Copyright Office dell’utilizzo dell’opera protetta e ciò da effettuarsi entro 30 giorni dalla messa a disposizione al pubblico del nuovo dato, con la previsione di una multa di $ 5,000.00 in caso di inadempimento.
Tale sistema prevederà, poi, che l’US Copyright Office conservi tutte le notifiche effettuate e le renda pubblicamente accessibili a mezzo di un database, al fine di monitorare, appunto, l’uso del dato protetto e conseguentemente consentire al titolare di intraprendere le opportune azioni.
Il nuovo testo ha registrato riscontri contrastanti.
Da un lato, è emerso entusiasmo dagli autori, soddisfatti per poter contare su una attività monitorata e trasparente, prima assente.
Il plauso non sorprende, visto che, solo pochi mesi fa, aveva fatto notizia la lettera aperta a firma di noti artisti quali Billie Eilish, Nicki Minaj, Stevie Wonder, finanche gli eredi di Frank Sinatra e Bob Marley che domandavano una maggiore protezione dei propri diritti autorali, di fronte a sistemi di intelligenza artificiale sempre più invasivi, giunti fino all’uso indebito della voce dell’artista, sfruttata per contenuti di varia natura senza alcun consenso.
Dall’altro, le società tech coinvolte (si pensi ai giganti tecnologici OpenAI, Microsoft e Anthropic) si sono mostrate, come è ovvio, preoccupate dalla nuova proposta di legge, visto che un tale assetto potrà esporle alla richiesta di royalties da parte degli autori, quindi al pagamento di costi ingenti per ottenere le autorizzazioni necessarie.
Il rischio è di assistere alla creazione di un monopolio e alla progressiva eliminazione delle società più piccole, non in grado di sopportare le spese delle licenze, con il conseguente disincentivo ad investire in nuove realtà di tale specie e quindi alla rinuncia a prospettive di incremento tecnologico, sempre più importanti in taluni settori.
Dal punto di vista strettamente giuridico, poi, tali società hanno a più riprese ribadito che l’uso limitato del materiale protetto sarebbe comunque legittimo (anche in assenza di consenso), in forza della fair use doctrine, che, come è noto, consente lo sfruttamento di opere protette dal diritto d’autore in presenza di specifiche condizioni.
Il punto è che la legislazione (anche negli USA, stavolta) risulta non al passo con lo status quo ed appare sempre più necessario trovare una sintesi efficace tra categorie (autori vs società attive nel mercato dell’intelligenza artificiale) ontologicamente contrapposte.
Come tutti i temi che ruotano intorno al mondo delle nuove tecnologie, il contemperamento degli interessi è molto delicato, anche perché il settore in considerazione evolve di giorno in giorno, e ciò senza che la risposta del legislatore viaggi di pari passo.
Sembra che il disegno di legge del deputato Schiff, allo stato, non troverà grosso seguito innanzi al Congresso; tuttavia, si tratta solo di un primo tentativo, in attesa che i Tribunali americani (è un dato di fatto che il contenzioso sul tema è in costante aumento) inizino a pronunciarsi, caso per caso, per gettare le basi di un quadro normativo più efficace, almeno negli Stati Uniti.
L’Europa, per il momento, resta a guardare, in attesa dell’entrata in vigore dell’Artificial Intelligent Act.