Sul punto è intervenuta, con la sentenza n. 23683 del 4.9.2024, la Corte di Cassazione secondo cui la responsabilità dell’Istituto di Credito va esclusa in caso di colpa grave dell’utente, ravvisabile, ad esempio, nel caso di reiterata attesa prima di comunicare l’uso non autorizzato dello strumento di pagamento.
Posto che il riparto degli oneri probatori a carico delle parti segue il regime della responsabilità contrattuale, la diligenza posta a carico del professionista, con riferimento ai servizi posti in essere in favore del cliente, ha natura tecnica e deve valutarsi tenendo conto dei rischi tipici della sfera professionale di riferimento.
Assumendo come parametro quello dell’accorto banchiere, dunque, la diligenza della banca va riferita ad operazioni che devono essere ricondotte nella sua sfera di controllo tecnico, sulla base anche di una valutazione di prevedibilità ed evitabilità tale che la condotta, per esonerare il debitore, la cui responsabilità contrattuale è presunta, deve porsi al di là delle possibilità esigibili della sua sfera di controllo.
Pertanto, mentre il cliente è tenuto soltanto a provare la fonte del proprio diritto ed il termine di scadenza, il debitore, cioè la banca, deve provare il fatto estintivo dell’altrui pretesa, sicché non può omettere la verifica dell’adozione delle misure atte a garantire la sicurezza del servizio.
Conseguentemente, essendo la possibilità della sottrazione dei codici al correntista attraverso tecniche fraudolente un’eventualità rientrante nel rischio d’impresa, la banca, per liberarsi dalla propria responsabilità, deve dimostrare la sopravvenienza di eventi che si collochino al di là dello sforzo diligente richiesto al debitore (nello stesso senso: Cass. Civ. n. 26916 del 26/11/2020).
In riferimento al caso di specie, la S.C. ha ritenuto non solo che non fossero stato osservati i richiamati principi in tema di riparto dell’onere della prova, ma altresì che la motivazione della Corte distrettuale fosse inidonea a rivelare la ragioni della decisione e l’iter logico per giungere alle conclusioni fatte proprie nel dispositivo: la Corte infatti, dopo aver affermato che la circostanza del possesso delle carte da parte del ricorrente non poteva considerarsi provata, non aveva spiegato però in concreto perché dal fatto che le operazioni di prelievo sarebbero avvenute mentre la ricorrente era in Italia, dovesse ricavarsi che le stesse erano da attribuirsi a suoi familiari, peraltro anche a conoscenza del pin.
Infine, l’assunto secondo cui non era stata fornita, dal ricorrente, la dimostrazione di avere mantenuto sempre il possesso delle carte, si poneva in contrasto con la mancata ammissione della prova testimoniale sulla relativa circostanza, ritualmente articolata dal ricorrente.