L’autorità Garante per la protezione dei dati personali (“Garante Privacy”), con provvedimento n. 430, reso noto lo scorso 28 settembre, ha chiarito i limiti e i presupposti operativi del nuovo art. 64-ter delle disposizioni attuative del codice di procedura penale. Una norma che, in combinato disposto con l’art. 17 del Regolamento (UE) 2016/679 (“GDPR”), ha introdotto il diritto dei soggetti, nei cui confronti sono stati pronunciati una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere ovvero un provvedimento di archiviazione, di richiedere al motore di ricerca che sia inibita l’indicizzazione o sia disposta la deindicizzazione sulla rete Internet dei dati personali contenuti nel provvedimento giudiziario, attribuendo alla cancelleria del giudice il compito di apporre, su richiesta dell’interessato, un’annotazione in calce al provvedimento stesso al fine di renderlo titolo idoneo per ottenere la predetta deindicizzazione.
Il caso
La questione portata all’attenzione del Garante Privacy traeva origine dalla richiesta presentata da un interessato a Google, volta alla deindicizzazione di alcuni URL di articoli associati al proprio nome e cognome e aventi ad oggetto una vicenda giudiziaria che lo aveva visto coinvolto e che si era conclusa con la pronuncia di un decreto di archiviazione.
Il diritto azionato dall’interessato è contenuto nel nuovo art. 64-ter disp. att. c.p.p, introdotto con la riforma Cartabia. Tale norma, ad una prima lettura, parrebbe infatti sancire un diritto assoluto dell’interessato - nei cui confronti sia stata emessa, alternativamente, una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere ovvero un provvedimento di archiviazione - di ottenere dal motore di ricerca la deindicizzazione dei contenuti e dei relativi dati personali riportati nel provvedimento pubblicato online.
In conformità a tale interpretazione, l’interessato aveva chiesto ed ottenuto dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale competente, l’apposizione di un’annotazione formale in calce al decreto di archiviazione utile a rendere detto provvedimento titolo idoneo per ottenere la deindicizzazione, formulando a tale scopo un nuovo interpello a Google.
Tuttavia, il gestore del motore di ricerca provvedeva a rimuovere solo una parte degli URL, ritenendo ancora sussistente, in relazione agli altri URL, un interesse pubblico alla conoscenza della notizia in quanto recente, correttamente aggiornata e relativa alla vita professionale dell’interessato svolta in ambito pubblico.
Dunque, lamentando un pregiudizio alla propria reputazione personale e professionale, egli si rivolgeva al Garante Privacy affinché ordinasse al motore di ricerca la rimozione degli URL in questione.
La decisione del Garante Privacy
Il Garante Privacy, rovesciando l’interpretazione di cui sopra, ha ritenuto tuttavia infondato il reclamo, rinviando alla disciplina e ai limiti previsti dall’art. 17 del GDPR, come stabilito dallo stesso dettato normativo dell’art. 64-ter disp. att. c.p.p.
Come noto, la norma sul diritto all’oblio contenuta all’art. 17 del GDPR prevede un diritto non assoluto alla cancellazione dei dati personali (e così alla deindicizzazione ai sensi del par. 2) ma condizionato al ricorrere dei motivi tassativi elencati al primo paragrafo; in particolare, prevede al par. 3 che in alcun caso la cancellazione/deindicizzazione dei dati personali possa essere richiesta se il trattamento è necessario per l'esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione.
Richiamando tale disposizione, il Garante Privacy ha finalmente fornito un’interpretazione orientata dell’art. 64-ter disp. att. C.p.p., specificando come anche nelle ipotesi dettate dalla prima norma, prevalgano le clausole di salvaguardia di cui al par. 3 dell’art. 17 GDPR.
In altre parole, la decisione favorevole che definisce il procedimento penale costituisce senza dubbio un titolo idoneo ad ottenere un provvedimento di deindicizzazione ma l’accoglimento della domanda è soggetto al previo bilanciamento, operato dal titolare del trattamento (nel caso di specie, Google), tra il diritto d’informazione della collettività e il diritto all’oblio dell’interessato, al fine di garantire il corretto espletamento della libertà di espressione e di informazione.
Quanto ai parametri da tenere in considerazione per mantenere il corretto equilibrio tra interesse pubblico e privato, nel testo del provvedimento il Garante Privacy ne evidenzia tre: il fattore temporale, la rilevanza pubblica delle informazioni e la loro attualità e veridicità e, infine, il ruolo ricoperto dall’interessato nella vita pubblica – in linea con i consolidati orientamenti dei tribunali europei e nazionali.
Dunque, sarà da considerarsi prevalente il diritto all’informazione della collettività nelle ipotesi in cui i contenuti online facciano riferimento a notizie esatte e recenti, che mirano ad informare il pubblico sugli esiti favorevoli di una vicenda giudiziaria che ha visto coinvolto un soggetto impegnato in un ruolo pubblico.
Avv. Lorenzo Baudino Bessone e Dott.ssa Ilaria Carratù