Approvato in via definitiva il disegno di legge sulla proprietà industriale, iniziativa inserita nel Piano nazionale di ripresa e resilienza. Tra gli obiettivi della riforma del Codice della Proprietà Industriale, vi è quello di rilanciare in Italia la ricerca accademica, allineandola alle best practice internazionali. È in questa ottica che si inserisce l’abolizione del c.d. “Professor’s Privilege”.
Il Professor’s Privilege
Occorre esaminare, nel caso di specie, cosa prevedesse il “vecchio” art. 65 del Codice della Proprietà Industriale (d.lgs. 30/2005 - “c.p.i.”), relativo alla regolamentazione delle invenzioni dei ricercatori universitari e degli enti pubblici di ricerca.
In dettaglio, l’art. 65 c.p.i. assegnava in questi casi un “privilegio”, prevedendo che i diritti derivanti dall’invenzione – si pensi alle invenzioni di equipe – appartenessero a tutti gli inventori in parti uguali, salvo diversa pattuizione. All’ente, inoltre, spettava una quota percentuale di sfruttamento dell’invenzione, non inferiore al 30%, determinabile autonomamente dall’ente stesso, fermo restando comunque in capo all’inventore almeno il 50% dei proventi di tale sfruttamento. È questo il principio del c.d. “Professor’s Privilege”.
Le modifiche all’art. 65 c.p.i.
Con l’obiettivo di incentivare la ricerca, oltre che di armonizzare la normativa interna con la disciplina unionale, il legislatore è intervenuto abolendo il “privilegio” in commento. E così, con il voto finale della Camera dei Deputati, in data 18 luglio è stato approvato definitivamente il disegno di legge di riforma del Codice della Proprietà Industriale, mediante il quale è stato riformato l’art. 65 c.p.i., prevedendo che “quando l’invenzione industriale è fatta nell’esecuzione o nell’adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o d’impiego, anche se a tempo determinato, con un’università, anche non statale legalmente riconosciuta, un ente pubblico di ricerca o un istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS), nonché nel quadro di una convenzione tra i medesimi soggetti”:
- i diritti nascenti dall’invenzione spettano alla struttura di appartenenza dell’inventore, salvo il diritto spettante all’inventore di esserne riconosciuto autore;
- se l’invenzione è conseguita da più persone, i diritti derivanti dall’invenzione appartengono a tutte le strutture interessate in parti uguali, salva diversa pattuizione.
Da notare, rispetto al “vecchio” art. 65, un’estensione dei soggetti a cui si applica tale disciplina, in cui sono oggi inclusi anche i lavoratori a tempo determinato, oltre all’introduzione di nuovi oneri in capo agli inventori e alla struttura per la comunicazione ed il deposito del brevetto, stabilendo delle sanzioni in caso di inottemperanza.
In particolare, l’inventore deve comunicare l’oggetto dell’invenzione alla struttura di appartenenza, pena l’impossibilità di depositare a proprio nome la domanda di brevetto in caso di inadempimento (art. 65, c. 2, c.p.i.).
In seguito a tale comunicazione ed entro il termine sei mesi dalla ricezione della stessa, prorogabile per un massimo di ulteriori tre mesi, la struttura dovrà depositare la domanda di brevetto o comunicare all’inventore l’assenza di interesse a procedervi (art. 65, c. 3, c.p.i.).
Conclusioni
L’approvazione del disegno di legge di modifica del c.p.i. costituisce indubitabilmente un importante traguardo, non solo in un’ottica di armonizzazione con la disciplina unionale, ma anche poiché rafforza l’importanza delle privative e valorizza le invenzioni, così contribuendo ad agevolare l’accesso al sistema della proprietà industriale.
Dott.ssa Maria Eleonora Nardocci