Arbitrato societario con sede all’estero: la Cassazione si esprime sulla legittimità della clausola statutaria

Arbitrato societario con sede all’estero: la Cassazione si esprime sulla legittimità della clausola statutaria
Nel contesto attuale, caratterizzato da una crescente internazionalizzazione delle compagini societarie, non è raro che i soci scelgano di affidare la risoluzione delle controversie a organismi arbitrali con sede all’estero. Questa tendenza riflette l’esigenza di individuare sedi neutrali, spesso percepite come più efficienti o più idonee a gestire rapporti tra soggetti appartenenti a ordinamenti giuridici diversi. Sul tema si è recentemente espressa la Corte di Cassazione, con una pronuncia che contribuisce a definire i confini della legittimità di simili scelte nell’ambito dell’arbitrato societario. 

Con la sentenza n. 8911 del 4 aprile 2025, la Corte di Cassazione, investita per la prima volta del complesso tema dell’arbitrato societario statutario con sede estera, ha riconosciuto la validità della clausola compromissoria contenuta nello statuto di una società italiana non quotata che prevede la devoluzione delle controversie societarie a un arbitrato con sede all’estero.

Tale è la conclusione che discende dal principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte, di seguito riportato: “In tema di arbitrato societario, può essere riconosciuto in Italia un lodo rituale straniero pronunciato in forza di una clausola compromissoria, inserita nello statuto di una società di diritto italiano, che localizzi all’estero la sede dell’arbitrato medesimo qualora […] l’intero organo arbitrale sia nominato da un soggetto terzo estraneo alla società” precisando inoltre, che una volta soddisfatto tale requisito, le disposizioni degli artt. 35 e 36 del d.lgs. 5/2003 possono essere derogate mediante la scelta di una lex arbitri straniera, purché rispettosa dei canoni fondamentali previsti dalla Convenzione di New York del 1958 in materia di riconoscimento ed esecuzione delle sentenze arbitrali straniere che disciplina, a livello sovranazionale, il riconoscimento dei lodi arbitrali.

La vicenda prende le mosse da un procedimento arbitrale promosso nel 2014 da una società italiana sulla base di una clausola statutaria che prevedeva il ricorso a un collegio arbitrale costituito secondo il regolamento della Camera di Commercio Internazionale (CCI), con sede a Ginevra, ma con applicazione del diritto sostanziale italiano. L’ex amministratore, convenuto in arbitrato dai soci, si costituì eccependo l’incompetenza del collegio, sostenendo la nullità o la inefficacia della clausola per contrasto con le regole dell’arbitrato societario interno, in particolare quelle riguardanti la nomina degli arbitri e la pubblicità della clausola di cui agli artt. 34-35 del d.lgs. 5/2003, ora abrogati ma applicabili ai fatti di causa ratione temporis.

Il collegio arbitrale, con lodo parziale, al contrario, aveva respinto l’eccezione e affermato la propria competenza. In seguito, il lodo definitivo era stato riconosciuto in Italia, nonostante l’opposizione dell’ex amministratore, tramite sentenza della Corte d’appello che aveva confermato la validità della clausola arbitrale.

Chiamata a pronunciarsi, la Suprema Corte ha offerto una lettura sistematica che contribuisce in modo significativo a definire la disciplina dell’arbitrato societario transnazionale, secondo la quale deve ritenersi legittima, e può essere riconosciuta in Italia, una clausola compromissoria statutaria che preveda la sede dell’arbitrato all’estero, a condizione che siano rispettati, da un lato, il requisito sostanziale dell’art. 34, comma 2, d.lgs. 5/2003, ossia la nomina dell’intero collegio arbitrale da parte di un soggetto terzo estraneo alla società, e dall’altro i principi fondamentali del giusto processo, come richiesto dalla già citata Convenzione di New York.

Nella motivazione della sentenza in commento, la Corte valorizza la distinzione tra legge sostanziale applicabile alla validità della clausola (in questo caso, il diritto italiano) e legge regolatrice del procedimento arbitrale, la cui efficacia resta confinata all’ordinamento scelto (qui, quello svizzero). I giudici sottolineano che, diversamente dall’inderogabile art. 34, comma 2, d.lgs. 5/2003, i successivi articoli 35 e 36, che dettano regole procedurali in materia di pubblicità della clausola compromissoria e trasparenza nella nomina degli arbitri, non hanno portata extraterritoriale e possono, dunque, essere derogati quando la clausola statutaria prevede una sede arbitrale estera cui si applica una lex arbitri straniera.

In conclusione, non è la sede in Italia della società a imporre il foro interno, bensì la conformità della clausola arbitrale ai principi fondamentali del giusto processo arbitrale previsti dalla Convenzione di New York del 1958 ed il rispetto della norma imperativa circa la nomina dell’intero collegio arbitrale da parte di un soggetto terzo estraneo alla società. La Cassazione apre dunque con decisione alla possibilità, per le società italiane, di optare legittimamente per arbitrati internazionali con sede all’estero, senza che questo implichi, di per sé, una violazione delle norme imperative nazionali.

Gli stessi ermellini hanno, inoltre, riconosciuto la grande rilevanza pratica del tema, sottolineando come non sia per nulla infrequente che in un mercato sempre più globalizzato ed interconnesso, emergano tra i soci ragioni di opportunità per l’adozione di clausole compromissorie statutarie di questo tipo, dando atto delle molteplici esigenze di cui gli operatori economici possano farsi portatori nelle operazioni societarie, adducendo come esempio il caso di società con rilevanti porzioni di azionariato possedute da soci stranieri o quello di società-veicolo, create appositamente per dare esecuzione a contratti di investimento o joint venture tra parti di diverse nazionalità, ovvero le ragioni di opportunità processuale, il c.d. forum shopping.

Il principio espresso dalla Suprema Corte rafforza, dunque, la flessibilità e l’efficacia della scelta dell’arbitrato societario nella dimensione transnazionale, assumendo rilievo non solo sotto il profilo della certezza del diritto, ma anche per le rilevanti implicazioni pratiche che ne derivano: la pronuncia in commento chiarisce definitivamente i limiti e le condizioni entro cui l’autonomia statutaria può estendersi al di fuori dei confini nazionali, offrendo un quadro interpretativo solido per operatori, investitori e interpreti del diritto.

Avv. Arianna Serafini

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