Zorro in Cassazione: fino a dove può spingersi la parodia di spot pubblicitari

Zorro in Cassazione: fino a dove può spingersi la parodia di spot pubblicitari
Con l’ordinanza n.38165 del 30.12.2022 la Corte di Cassazione ha statuito fino a che punto può spingersi la parodia di un personaggio di fantasia in uno spot pubblicitario. In particolare, lo ha fatto con riferimento alla figura del giustiziere Zorro che, nel caso di specie, pubblicizzava una famosa marca di acqua minerale. I principi di diritto espressi dalla Corte costituiscono un punto d’incontro tra le pretese delle parti coinvolte.
La vicenda

La vicenda che ha portato alla recente pronuncia della Suprema Corte risale, in realtà, al 2007, quando la società statunitense Zorro Production Inc. ha chiamato in causa la Compagnia Generale Distribuzione S.p.A. (CO.GE.DI) lamentando la violazione dei propri diritti d’autore sulla figura letteraria di Zorro usata dalla convenuta in uno spot pubblicitario di un’acqua minerale.

In primo grado il Tribunale di Roma si era espresso in senso favorevole alla società statunitense con una sentenza non definitiva, immediatamente impugnata dalla CO.GE.DI., con cui riconosceva la violazione dei diritti autorali l'utilizzo illecito dei marchi tanto denominativi quanto figurativi corrispondenti al nome della figura del personaggio di fantasia.

La soccombente CO.GE.DI. ha adito la Corte d’Appello che ha riformato la pronuncia di primo grado dichiarando la caduta in pubblico dominio di tutte le opere dell’autore di Zorro.

L’appellata statunitense insoddisfatta ha fatto ricorso in Cassazione, la quale ha escluso detta caduta in pubblico dominio affermando che per la Convenzione di Ginevra del 1952 le opere di autori stranieri godono della stessa protezione prevista dall’art. 25 della L. n.633 del 1941 per le opere di autori italiani che estende la tutela dei diritti autorali fino ai 70 anni dopo la morte dell’autore.

Il giudizio è stato riassunto davanti alla Corte di Roma che ha, nuovamente, riconosciuto la ragione alla Zorro Production; il procedimento è dunque giunto, ancora una volta, in Cassazione.

Limiti alla versione parodistica dell’opera

La Cassazione in ultima battuta ha stabilito che l'utilizzo parodistico di Zorro è libero perché rientra nella libera manifestazione del pensiero, ma la libertà finisce laddove si crea un indebito vantaggio tratto dall’uso “caricaturale” del giustiziere nero. Serve, infatti, l’approvazione della società statunitense se l’eroe mascherato viene usato, anche se come parodia, in uno spot pubblicitario dal quale si trae un ritorno illecito, grazie anche al carattere distintivo del marchio corrispondente che subisce magari anche un pregiudizio.

La Corte chiarisce che «In tema di diritto di autore, la parodia deve rispettare un giusto equilibrio tra i diritti del soggetto che abbia titolo allo sfruttamento dell’opera, o del personaggio, e la libertà di espressione dell’autore della parodia stessa; in tal senso, la ripresa dei contenuti protetti può giustificarsi nei limiti connaturati al fine parodistico e sempre che la parodia non rechi pregiudizio agli interessi del titolare dell’opera o del personaggio originali, come accade quando entri in concorrenza con l’utilizzazione economica dei medesimi».

Inoltre, i giudici hanno chiarito che la parodia, non rientra nella categoria delle elaborazioni creative che rappresentano un’eccezione ai diritti autoriali, perché consiste in un vero e proprio rovesciamento concettuale della creazione a cui si riferisce. Assimilare la parodia all’elaborazione creativa vorrebbe dire assoggettarla al consenso dell’autore ed è difficile, pensare che l’autore di un’opera gradisca il suo travisamento comico.

L’ordinamento italiano non ha, infatti, accolto tra le eccezioni al copyright di cui all’art. 70 L. n.633 del 1941 l’uso parodistico di un’opera che, invece, trova spazio nella normativa europea di cui alla Direttiva n. 2001/29/CE art. 5 co.3 lett. K.

Indebito vantaggio

In materia di segni distintivi, in particolare, la Corte chiarisce che non rileva che il marchio parodiato venga usato per contraddistinguere beni o servizi di un settore non concorrenziale. è sufficiente la notorietà del marchio stesso perché l’utilizzatore ne possa trarre un indebito vantaggio economico.

Inoltre, la parodia di un marchio altrui «che trae la propria vitalità dalla rinomanza di questo crea un legame col messaggio di cui quest’ultimo è portatore: legame che si traduce spesso in un vantaggio per l’autore della parodia, nell’erosione del valore del segno, o in entrambi i fenomeni». Lo sfruttamento del marchio altrui è vietato, quando il suo utilizzo nell'altrui attività economica consente di trarre un indebito vantaggio dalla notorietà del brand o di danneggiarlo, a nulla rilevando se il marchio in questione non è utilizzato per contraddistinguere i prodotti o i servizi promossi dall’autore. 

Conclusioni

Dunque, la parodia del personaggio di Zorro è, tutto sommato, lecita ma a condizione che non ci sia un indebito vantaggio per la CO. GE. DI.  La società statunitense ha il diritto di chiedere il pagamento delle royalties, nel caso in cui il personaggio venga usato senza ottenere un giusto ritorno economico. La Corte ha inoltre stabilito che la parodia non può arrecare danno al marchio originale o all’autore, né può pregiudicare i suoi interessi economici. Per ora, dopo circa 15 anni, il bilancio complessivo è di tre pronunce favorevoli alla società statunitense e due a sostegno della legittimità dello spot: si attende a questo punto la sentenza della Corte d’Appello a cui la Cassazione ha rimesso la decisione.

Avv. Caterina Bo e Dott.ssa Mariarosaria Sellitto

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