Un’opera collettiva a tutela della nostra privacy. Discorso del Presidente Soro in occasione della presentazione della relazione annuale

Un’opera collettiva a tutela della nostra privacy. Discorso del Presidente Soro in occasione della presentazione della relazione annuale
Avv. Vincenzo Colarocco Il 7 maggio, alle ore 11:00, il Presidente del Garante per la protezione dei dati personali, Antonello Soro ha presentato al Parlamento e al Governo la relazione annuale dell’Autorità. Dalle parole del Presidente è sembrato emergere che la rinnovata attenzione mostrata negli ultimi tempi alla privacy, in parte dovuta all’applicazione di una normativa non più solo nazionale, ha cristallizzato una certa consapevolezza: il dato è tanto l’oggetto di un diritto inviolabile quanto un bene suscettibile di valutazione economica, capace di produrre ingenti profitti. La stragrande maggioranza dei nostri dati è nella disponibilità di piattaforme digitali; l’unico modo per evitare un’inutile quanto infruttuosa guerra alla digitalizzazione, è scommettere sia sulla persona che sul progresso, nella prospettiva di trovarne un giusto bilanciamento. Il Dott. Soro, infatti, conferma che se è vero che le tecnologie e le innovazioni digitali condizionano le scelte delle persone fisiche, sia come singoli sia come appartenenti ad una collettività, è anche vero che delineano l’esercizio della sovranità. La razionalizzazione e l’armonizzazione, soprattutto a livello europeo, del quadro giuridico di riferimento, compendiato dalla predisposizione di misure efficaci, sono gli unici strumenti in grado di prevenire “totalitarismi digitali” e “capitalismi della sorveglianza”. Vicende come Facebook-Cambridge Analytica dimostrano che l’assoluta prevalenza accordata a sistemi predittivi, funzionanti sulla base di algoritmi privi di qualsiasi intermediazione umana, potrebbe certamente mettere a repentaglio la stessa forma democratica, se sottratti ad un progetto etico giuridico e politico. Per tali ragioni, il Presidente ha affermato che seppur debba essere riconosciuta “l’inadeguatezza di un algoritmo a svolgere valutazioni necessariamente discrezionali e complesse”, si deve anche comprendere che il processo d’informatizzazione è troppo prezioso per il nostro Paese per potervi del tutto rinunciare. Da ciò nasce l’esigenza di renderlo “pienamente compatibile con i principi di proporzionalità e minimizzazione”. Sebbene il Collegio guardi con occhio critico talune scelte legislative – un esempio tra tutti la data retention – perché talvolta miopi rispetto all’osservanza dei principi ricordati, tuttavia riconosce che tanto è stato fatto. In questo senso, il Presidente ricorda le previsioni che consentono di richiedere, con una procedura particolarmente agile, la cancellazione o rettifica dei dati illegittimamente trattati in ambito giudiziario penale; l’adozione di alcune garanzie essenziali, omogenee per tutti gli uffici giudiziari, per impedire, in fase d’indagini, fughe di notizie pregiudizievoli anche della riservatezza individuale; la legge sul cyberbullismo, che ha valorizzato l’esigenza di tutela in forma specifica dell’immagine e dell’identità del minore; le disposizioni in tema di videosorveglianza negli asili per prevenire gli abusi; le nuove forme di esercizio del potere di vigilanza disciplinate con il protocollo d’intenti siglato con il Dis nel novembre 2013 e i costanti solleciti dell’Autorità al legislatore in alcune materie particolarmente sensibili come quella concernente il fenomeno del giornalismo di trascrizione; le disposizioni che, mirando ad appianare le asimmetrie contrattuali, garantiscono anche la tutela della riservatezza. Si pensi alla possibile qualificazione, come pratiche commerciali scorrette, le informative reticenti o, come abuso di posizione dominante, le illecite concentrazioni di data set anche di terze parti; allo Statuto dei lavoratori, come modificato dal Jobs Act; alle previsioni che regolamentano il tessuto endo-associativo dei partiti politici Tuttavia, la regolamentazione non è tutto o meglio non basta. Il Garante ricorda come il 2018 è stato definito, dal Clusit, l’anno peggiore per la sicurezza cibernetica, così costantemente esposta a minacce tanto da configurare una sorta di cyber-guerriglia permanente. Se è vero che “il diritto alla protezione dei dati personali viene sempre più invocato di fronte alle innumerevoli “servitù volontarie” cui rischiamo di consegnare noi stessi, in cambio di utilità e servizi che paghiamo al prezzo di porzioni piccole o grandi della nostra libertà”, ne consegue che la consapevolezza di tutti noi è di cruciale importanza e occorre porsi come obiettivo la tutela di questo diritto di libertà, che diviene forma e regola dell’agire individuale e collettivo. “A quest’obiettivo nessuno può sentirsi estraneo: perché involge il senso stesso del nostro essere persona e la natura della società in cui viviamo”.
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