La Corte d’Appello di Roma, con la decisione del 21 luglio 2022 n. 5333, ha rigettato l’impugnazione proposta dalla società statunitense Vimeo LLC avverso la condanna di primo grado per violazione dei diritti d’autore nei confronti di Reti Televisive Italiane S.p.A. (“RTI”, società del gruppo Mediaset). La società newyorkese aveva consentito la messa a disposizione del pubblico, tramite la propria video sharing platform, contenuti di titolarità di RTI e, dopo essere stata qualificata come hosting provider attivo, è stata condannata al pagamento di un’ingente somma di denaro a titolo risarcitorio in favore di RTI.
Il fatto
Vimeo è una piattaforma molto simile, per chi non vi abbia familiarità, alla più nota “YouTube”, un servizio di video on demand i cui contenuti sono organizzati secondo diversi criteri (“newest”, “oldest”, “most played”) attraverso cui l’utente può personalizzare le proprie ricerche. La maggior parte dei contenuti che si trovano sulla piattaforma sono realizzati da registi, videomaker e content creator indipendenti. Tuttavia, Vimeo ha consentito anche la diffusione -attraverso la propria piattaforma- di contenuti video estratti da noti programmi televisivi di titolarità di RTI (tra i quali, il Grande Fratello) senza alcuna autorizzazione, ed è stata condannata nel gennaio del 2019 dal Tribunale di Roma poiché, in qualità di hosting provider attivo, non solo non ne ha impedito la diffusione, ma ne ha anche omesso la pronta rimozione.
La figura dell’hosting provider attivo
La sentenza in esame, nel confermare integralmente la precedente sentenza del Tribunale di Roma n. 693/2019, ha riconosciuto la responsabilità diretta del fornitore di servizi di hosting in parola per averne riconosciuto il suo ruolo “attivo”. I giudici di secondo grado hanno confermato la necessità di distinguere la figura dell’hosting provider attivo da quello passivo alla luce di diversi criteri che esulano dagli automatismi nel controllo e nella gestione della piattaforma e che trovano riscontro anche nella giurisprudenza comunitaria.
Il provider può essere considerato “attivo” sia qualora agisca sia qualora ometta di agire con “immediatezza”. La giurisprudenza, al riguardo, ha individuato dei precisi parametri -i cd. “indici di interferenza”- la cui sussistenza va valutata caso per caso dal giudice del merito. Questi indici, elencati senza pretesa di esaustività e che possono non essere tutti compresenti, consistono nelle attività di ricerca personalizzata, gestione di un motore di ricerca, filtro, selezione, indicizzazione, organizzazione, catalogazione, aggregazione, valutazione, uso, modifica, estrazione o promozione dei contenuti, adozione di una tecnica di valutazione comportamentale degli utenti per aumentarne la fidelizzazione utilizzo di parole chiave, per citarne alcuni. Nel caso concreto, Vimeo ha tenuto una vera e propria gestione imprenditoriale del servizio, infatti, “non si è limitata ad attivare il processo tecnico che consente l’accesso alla piattaforma di comunicazione sulla quale sono trasmesse o temporaneamente memorizzate le informazioni messe a disposizioni di terzi, al solo fine di rendere più efficiente la trasmissione, ma ha svolto una complessa e sofisticata organizzazione di sfruttamento dei contenuti immessi in rete che vengono selezionati, indirizzati correlati, associati ad altri, arrivando a fornire all’utente un prodotto audiovisivo di alta qualità e complessità dotato di una sua precisa e specifica autonomia”.
La Cassazione si è già espressa in merito alla responsabilità dell’hosting provider attivo, nel 2019, nell’ambito della nota causa RTI c. Yahoo! (Cass. Civ., sentenza n.7708/2019). Più recentemente lo ha fatto nuovamente decidendo il caso RTI c. Break Media (Cass. Civ., ordinanza n. 39763/2021), confermando l’orientamento giurisprudenziale che distingue la responsabilità dell’hosting provider attivo da quello passivo e stabilendo (ormai in modo consolidato) che il primo non può godere delle limitazioni della responsabilità previste dal d. lgs. n. 70/2003 e dalla direttiva 2000/31/Ce.
Contribuisce a definire il provider attivo l'adozione di una tecnica di valutazione comportamentale degli utenti per aumentarne la fidelizzazione: condotte che abbiano, in sostanza, l'effetto di completare ed arricchire in modo non passivo la fruizione dei contenuti da parte di utenti indeterminati, ciò che avviene, per esempio, con “l’effetto di rete”, il meccanismo che rende “virale” i contenuti a seconda delle preferenze dei singoli utenti.
Anche la Corte di Giustizia UE, dopo essersi pronunciata sull’interpretazione dell’art. 14 direttiva 2000/31/Ce nell’ambito di un procedimento afferente la violazione di marchi (caso L’Oréal - eBay, C-324/09), è recentemente tornata ad interpretare la detta norma con le cause riunite C-682/18 e C-683/18. La sentenza in esame, infatti, contiene numerosi rimandi alla sentenza dei giudici sovranazionali da ultimo citata: “se il fine di lucro del servizio non comporta di per sé che l’hosting provider svolga un ruolo attivo – dovendo essere valutati gli ulteriori elementi in concreto (in tal senso CGUE 22.7.2021 n.682 nelle cause riunite C-682/18 e C-683/18) – pur tuttavia sicuramente il fatto che tale finalità sia raggiunta attraverso l’ottimizzazione dei dati (tutti i dati e quindi anche quelli inseriti illecitamente) appare significativo per ritenere che si sia in presenza di un hosting provider attivo.
La giurisprudenza dell'UE ha chiarito che l'operatore contribuisce, al di là della semplice messa a disposizione della piattaforma, a dare accesso al pubblico a tali contenuti illeciti, "in particolare, qualora tale operatore sia concretamente a conoscenza della messa a disposizione illecita di contenuti protetti sulla sua piattaforma e si astenga dal rimuoverli o dal bloccarne immediatamente l'accesso, o qualora detto operatore, pur sapendo o dovendo sapere che, in generale, i contenuti protetti sono messi illecitamente a disposizione del pubblico attraverso la sua piattaforma dagli utenti di quest'ultima, si astenga dall'attuare le misure tecniche appropriate che ci si potrebbe aspettare da un operatore normalmente diligente nella sua situazione per contrastare in modo credibile ed efficace le violazioni del diritto d'autore su tale piattaforma, o ancora nel caso in cui partecipi alla selezione di contenuti protetti illecitamente comunicati al pubblico, metta a disposizione sulla sua piattaforma strumenti specificamente destinati alla condivisione illecita di tali contenuti o promuova consapevolmente tale condivisione, il che può essere attestato dalla circostanza che l'operatore ha adottato un modello economico che incoraggia gli utenti della sua piattaforma a procedere illecitamente alla comunicazione pubblica di contenuti protetti sulla stessa" (CGUE 22.7.2021 nelle cause riunite C-682/18 e C-683/18).
Inapplicabilità dell'eccezione del safe harbour
Nel caso in cui l'hosting provider non svolga un'attività meramente tecnica, automatica, ma "conosca" o "controlli" le informazioni trasmesse o memorizzate non opera l'esenzione di responsabilità. È quindi proprio il fatto che l'hosting provider svolga in relazione alle informazioni trasmesse o memorizzate un'attività che non sia meramente tecnica e automatica, ma ponga in essere una condotta avente l'effetto - come nel caso di specie - di integrare e arricchire in modo non passivo la fruizione dei contenuti da parte di non meglio precisati utenti, che esclude alla base che tali informazioni possano ritenersi non conosciute o controllate dall'hosting. Ciò a prescindere dal mezzo utilizzato, non importando che tale attività organizzativa di ottimizzazione sia stata svolta non manualmente ma attraverso una gestione algoritmica dei contenuti audiovisivi messi a disposizione. Inoltre, la nozione stessa di ottimizzazione dei dati presuppone il controllo dei dati da ottimizzare.
E così si legge nella sentenza in commento: “premesso che deve ritenersi del tutto prevedibile la diffusione, su un sito di pubblicazione e condivisione di materiale video, di filmati in violazione del diritto d'autore, a fronte del fatto che era esigibile che Vimeo adottasse, secondo lo stato della tecnologia dell'epoca, misure tecniche idonee a contrastare credibilmente ed efficacemente la violazione del diritto d'autore su tale piattaforma, non risulta che tali misure siano state adottate. E in ogni caso, anche ammettendo, come sostenuto da Vimeo, che tali strumenti non consentissero effettivamente di verificare l'attività di violazione, non risulta che abbia adottato strumenti adeguati, nemmeno alternativi.
Nello stesso senso si può fare riferimento anche alla recente sentenza della CGU del 22/06/2021, cause C-682/18 e C-683/18”.
Obbligo di attivarsi e conoscenza della violazione
Anche su questo punto la sentenza in commento è chiarissima: “per quanto riguarda l'effettiva conoscenza del caricamento illecito di contenuti in violazione del diritto d'autore, va considerato, in generale, che l'indicazione dell'URL, che come ha correttamente rilevato il giudice di primo grado non coincide con i singoli contenuti illeciti presenti sulla piattaforma digitale ma rappresenta solo il "luogo" in cui i contenuti possono essere reperiti, non costituisce un presupposto per l'host di provvedere all'identificazione dei contenuti segnalati attraverso i titoli dei programmi televisivi”.
L'effettiva conoscenza dell'illecito deve ritenersi assolutamente soddisfatta con la comunicazione dei titoli dei programmi arbitrariamente diffusi, peraltro facilmente identificabili proprio in virtù dell'intima connessione del marchio apposto ai prodotti audiovisivi, tale cioè da non lasciare alcun margine di incertezza circa la loro identificazione, senza necessità di altri dati tecnici che, come detto, non trovano alcuna necessità di essere forniti dal titolare del diritto violato né in alcuna normativa di settore né nelle numerose decisioni giurisprudenziali.
In tal senso, anche la sentenza della Corte di Giustizia 22.6.2021 nelle cause riunite C-682/18 e C-683/18, che ha ribadito che la valutazione della conoscenza dell'illecito deve essere effettuata secondo il parametro della normale diligenza per un operatore del settore.
Avv. Alessandro La Rosa e Dott.ssa Mariarosaria Sellitto