Poco dopo la prima delibera dell’AGCOM sull’equo compenso dovuto da Microsoft a Gedi Gruppo Editoriale per lo sfruttamento delle pubblicazioni giornalistiche di quest’ultima sul motore di ricerca “Bing” – quasi 800.000 dollari per il biennio 2021-2022 – l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha pubblicato i dettagli del calcolo che verranno utilizzati d’ora in avanti per stimare il valore delle opere giornalistiche online secondo un modello di revenue sharing adattato alle esigenze sia di mercato che di interesse pubblico alla tutela del diritto all’informazione in una società democratica.
Le origini nella Direttiva Copyright (UE) 2019/790 e nell’art. 43-bis LdA.
Con lo sviluppo delle sezioni “news” dei motori di ricerca, l’incremento dell’uso dei social network anche a fini divulgativi/informativi e la digitalizzazione delle rassegne stampa, diversi anni fa gli editori di pubblicazioni giornalistiche hanno dovuto fare i conti con un decremento delle entrate dovuto principalmente al fatto che i loro articoli non venissero più letti per intero, bensì sostituiti da una rapida lettura di titolo, immagine e brevi/medio lunghi estratti che riassumevano la notizia e che a incredibile velocità si diffondevano online, per buona pace dei loro diritti d’autore sulla riproduzione e comunicazione al pubblico delle loro opere. La loro ribellione non è tardata ad arrivare e, come è noto ai più, in alcuni paesi ha perfino portato alla chiusura locale dei servizi online di aggregazione delle notizie (si veda il caso Google News in Spagna).
Nell’Unione Europea le esigenze contrapposte dei due centri di interessi, prestatori di servizi online e editori, sono state fatte incontrare in quello che poi è diventato l’art. 15 della Direttiva (UE) 2019/790 (“Direttiva Copyright”). Con tale articolo è stata quindi genericamente imposta la tutela dell’utilizzo commerciale online delle pubblicazioni giornalistiche da parte dei prestatori di servizi della società dell’informazione, escludendo i link (collegamenti ipertestuali), singole parole o estratti molto brevi, pubblicazioni a carattere non giornalistico, pubblicazioni giornalistiche vecchie di due anni o pubblicate prima del 6 giugno 2019, blog e ovviamente i fatti stessi contenuti nella notizia.
In Italia questa tutela si è declinata nell’art. 43-bis della L. n. 633/1941, introdotto con D. Lgs. n. 177/2021, che, oltre a incorporare l’art. 15 della Direttiva Copyright, dal comma 8 in poi riconosce espressamente un “equo compenso” agli editori per la riproduzione e la comunicazione al pubblico online a fini commerciali da parte dei prestatori dei servizi della società dell’informazione, compenso di cui l’AGCOM viene nominata garante. In particolare, l’Autorità viene incaricata di adottare uno specifico regolamento (il “Regolamento”) – poi pubblicato il 25 gennaio 2023 con delibera 3/23/CONS – per l’individuazione dei criteri di riferimento per il calcolo dell’equo compenso e della procedura da seguire per la sua negoziazione o definizione in caso di mancato accordo tra le parti.
Il Regolamento AGCOM e la Nota metodologica per la determinazione dell’equo compenso.
All’art. 9 e seguenti del Regolamento si esplicitano ancora di più le tempistiche della procedura per addivenire all’equo compenso: 30 giorni per negoziare a seguito di invito ufficiale via pec o altro mezzo che garantisca la prova della recezione; in caso di mancato accordo, una delle parti ha sessanta giorni – a pena di inammissibilità – per inviare istanza all’AGCOM con una proposta economica, di cui va avvisata la controparte, che ha i dieci giorni successivi per comunicare le informazioni e i dati necessari al calcolo del compenso oltre a dover formulare una propria proposta economica; sono previsti degli incontri – soprattutto in via telematica – e, salvo accordo tra le parti, l’AGCOM deve decidere entro sessanta giorni lavorativi dalla ricezione dell’istanza.
I criteri di calcolo con cui l’AGCOM deve valutare le proposte economiche o, in caso di loro inadeguatezza, formulare un ammontare ex novo sono diversi a seconda che si tratti di motore di ricerca e social network da un lato (art. 4 del Regolamento), o di impresa di media monitoring e rassegne stampa dall’altro lato (art. 6 del Regolamento), per le differenze dei loro modelli di business. La Nota ricorda che il calcolo secondo gli artt. 4 e 6 del Regolamento si avrà solo quando le proposte economiche delle parti a priori non vengono ritenute conformi al mercato e alle esigenze anche pubblicistiche da tutelare.
Il calcolo si comporrà mediante la moltiplicazione di una base di calcolo, che per i motori di ricerca e i social network sarà costituita dai ricavi pubblicitari, mentre per le imprese di media monitoring e rassegne stampa dal loro fatturato, per un’aliquota percentuale (pari al massimo a 70% per motori di ricerca e social network), che terrà conto del numero di visualizzazioni o numero di articoli riprodotti, del numero di utenti unici, della rilevanza dell’editore sul mercato, del numero di dipendenti (che a loro volta in qualità di autori hanno diritto a una percentuale del 2%-5% dell’equo compenso), dei costi in investimento tecnologico degli editori e dei prestatori dei servizi online, della storicità della testata, dell’adesione o meno da parte dei prestatori di servizi a codici di condotta o best practices.
Più nel dettaglio, la base di calcolo per i motori di ricerca sarà data dalla differenza tra i benefici ottenuti del prestatore grazie all’utilizzo online delle opere giornalistiche e i benefici dell’editore dalla diffusione delle pubblicazioni sulle piattaforme online. Il che significa che il prestatore dovrà individuare i ricavi pubblicitari online che derivano dai sui servizi che per il territorio italiano usano le pubblicazioni giornalistiche, identificando solo quelli riconducibili agli editori italiani, escludendo i materiali non protetti (vedi sopra) e circoscrivendo quelli relativi all’editore che chiede la negoziazione. A tale cifra bisognerà sottrarre i ricavi già ottenuti dall’editore grazie al traffico di reindirizzamento, scomputando le eventuali somme già retrocesse al prestatore qualora questi faccia anche da intermediario per la vendita di spazi pubblicitari online dell’editore.
Nel caso del social network la situazione si fa più complicata e “spannometrica” poiché in questo caso la pubblicità non viene associata ad una specifica notizia ma si insinua tra le notizie del feed degli utenti, categorizzati dal social network stesso e “venduti” in base al tipo di audience che il pubblicitario cerca. Saranno inoltre da non considerare i cosiddetti contenuti “di prima parte” ovvero i post caricati direttamente dall’editore che così facendo già sfrutta i benefici di visibilità, considerando tra le pubblicazioni da tutelare quelle cosiddette “di terza parte” che originano da condivisioni e commenti di terzi.
Per le imprese di media monitoring e rassegne stampa la base di calcolo sarà il fatturato derivante dai servizi connessi a tali specifiche attività senza nulla togliere poiché non vi sono ulteriori benefici per l’editore se non il pagamento del compenso. L’aliquota del modello di mercato denominato “Promopress” dell’8% è ritenuto però un livello di soglia minimo e non massimo, che invece dovrà tenere conto del fatturato annuo globale del settore.
A conclusione dei chiarimenti forniti, rimangono da non sottovalutare i poteri ispettivi e sanzionatori di AGCOM (fino all’1% del fatturato nazionale dell’ultimo esercizio) in caso di mancata comunicazione di informazioni e di dati su richiesta per addivenire alla miglior stima possibile dell’equo compenso ai sensi degli artt. 5 e 7 del Regolamento.