Nella valutazione della proporzionalità di un rifiuto di prestazione di un lavoratore disabile il giudice non può prescindere dal valutare il diniego di un accorgimento ragionevole

Nella valutazione della proporzionalità di un rifiuto di prestazione di un lavoratore disabile il giudice non può prescindere dal valutare il diniego di un accorgimento ragionevole
Il rifiuto di accomodamento ragionevole costituisce atto discriminatorio, come tale affetto da nullità di cui il datore di lavoro non può trarre vantaggio in alcun modo.

Un lavoratore affetto da invalidità al 100% dopo un lungo periodo di assenza per malattia all’esito di una aspettativa non si presentava presso la sede di lavoro in quanto rivendicava la ricollocazione presso una sede di lavoro più vicina alla città dove risiedeva dove poteva proseguire al meglio la propria terapia.

La società, dopo tre inviti a riprendere servizio, perdurando l’assenza dal posto di lavoro, licenziava il lavoratore che adiva il Tribunale di Bologna al fine di richiedere la reintegra nel posto di lavoro deducendo il carattere discriminatorio del recesso.

Il Tribunale respingeva il ricorso con sentenza confermata anche in sede di appello. 

La Corte distrettuale riteneva sproporzionata la autotutela del lavoratore in favore del quale non era stato nè accertato il diritto al riavvicinamento né lo stesso aveva dimostrato che la sede di lavoro assegnatagli non era compatibile con le sue condizioni di salute.

La Corte di distrettuale affermava pertanto, che a prescindere dalla possibilità di un ragionevole accorgimento, il rifiuto della prestazione era contrario a correttezza e buona fede.

La Cassazione con sentenza n. 30080 del 21 novembre 2024 ha riformato la decisione dei gradi di giudizio precedenti, richiamando i principi che sottendono i ragionevoli accorgimenti che il datore di lavoro è tenuto ad adottare per non penalizzare il lavoratore affetto da disabilità.

La Suprema Corte nel riformare la decisione ha ritenuto che la Corte distrettuale, nel valutare la proporzionalità del rifiuto, non avrebbe dovuto prescindere dalla consistenza dell’obbligo di accomodamenti ragionevoli gravanti sul datore di lavoro nei confronti di una persona con disabilità dotata di peculiare protezione a salvaguardia di fondamentali esigenze di vita e di salute, tanto che il rifiuto di accomodamento ragionevole costituisce atto discriminatorio, come tale affetto da nullità di cui il datore di lavoro non può trarre vantaggio in alcun modo; solo in tale contesto – prosegue la Cassazione – la Corte distrettuale avrebbe dovuto verificare se il rifiuto opposto dal dipendente fosse contrario a buona fede.

Avv. Nicoletta Di Lolli

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