Liquidazione giudiziale dell’impresa e presupposti dell’azione revocatoria

Liquidazione giudiziale dell’impresa e presupposti dell’azione revocatoria
Con l’ordinanza n. 25605 emessa in data 18 settembre 2025 la Terza Sezione civile della Corte di Cassazione si è pronunciata sulla (duplice) questione dell’individuazione dei presupposti legittimanti la proposizione dell’azione revocatoria in ambito concorsuale e degli effetti dell’azione.

I Giudici di legittimità hanno chiarito che “l’innesto dell’azione revocatoria ordinaria in una procedura fallimentare ne determina la trasformazione da strumento di tutela individuale del singolo creditore a strumento di tutela collettiva della massa, comportando, pur nel silenzio della legge, un diverso atteggiarsi sia dei presupposti sia degli effetti dell’azione” (Cass. n. 25605/2025 cit.). In particolare, “muta il presupposto oggettivo, che va individuato nella lesione della garanzia patrimoniale offerta dai beni del debitore al momento del compimento dell’atto e ancora esistente a quello della proposizione dell’azione. Lesione, in termini di insufficienza di tali beni a consentire il soddisfacimento delle ragioni creditorie, da verificarsi con riferimento all’insieme dei creditori” (Cass. n. 25605/2025 cit.). Per quanto attiene agli effetti dell’esperita revocatoria la dichiarazione di inefficacia dell’atto “si estende nei confronti dell’intera massa dei creditori, anteriori o posteriori all’atto, nonché determina direttamente, come per la revocatoria fallimentare, il recupero del bene al patrimonio oggetto dell’esecuzione fallimentare” (Cass. n. 25605/2025 cit.).

Il codice civile fissa le condizioni di esercizio dell’azione revocatoria ordinaria (actio pauliana) da parte del creditore, il quale “può domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni” (art. 2901, co. 1, c.c.).

L’actio pauliana costituisce uno strumento di conservazione della garanzia patrimoniale generica ex art. 2740 c.c. contro qualunque atto che determini o semplicemente aggravi il pericolo della sua insufficienza (eventus damni), del quale il creditore può avvalersi per ottenere che siano dichiarati giudizialmente inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio posti in essere dal debitore in pregiudizio delle ragioni creditorie.

La condizione soggettiva legittimante la proposizione dell’azione è la scientia fraudis (o damni) in capo al debitore, ovvero la consapevolezza e la conoscenza del pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore, nel senso che “il debitore conoscesse il pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, l’atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento” (art. 2901, co. 1, n. 1, c.c.). Nell’ipotesi di atto a titolo oneroso è, altresì, necessaria la ricorrenza della partecipatio fraudis da parte del terzo, il quale deve essere consapevole del danno arrecato dall’atto al debitore, nel senso che “il terzo fosse consapevole del pregiudizio e, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione” (art. 2901, co. 1, n. 2, c.c.).

La declaratoria di inefficacia dell’atto di disposizione patrimoniale comporta - sul piano effettuale - l’inopponibilità dell’atto al creditore agente in revocatoria, ferma restando la validità ed efficacia dell’atto dispositivo tra le parti e verso i terzi: l’azione revocatoria ordinaria non ha effetto restitutorio, ma “è diretta ad ottenere una dichiarazione d’inefficacia relativa dell’atto da revocare” (Cass. civ., Sez. VI-3, 19-6-2017, n. 15096, rv. 644734-01).

In ambito concorsuale la legittimazione alla proposizione dell’azione revocatoria spetta al curatore della liquidazione giudiziale.

Avv. Rossana Mininno

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