
Con l’ordinanza interlocutoria n. 2931, pubblicata in data 5 febbraio 2025, la Prima Sezione civile della Corte di Cassazione ha rimesso gli atti alla Prima Presidente per l’eventuale assegnazione della causa alle Sezioni Unite affinché chiariscano “se nella nozione di “credito condizionato” possa rientrare anche il credito (risarcitorio o restitutorio) derivante dalla domanda di risoluzione del contratto per inadempimento quesita prima del fallimento e ancora pendente, per iniziativa del curatore, in sede ordinaria”.
Il Codice della crisi d’impresa (cfr. decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14) è informato - al pari della previgente Legge fallimentare - ai principi della par condicio creditorum, della concorsualità, dell’esclusività e universalità del procedimento di verificazione dello stato passivo, nonché della cristallizzazione della massa passiva.
Come noto, il procedimento di accertamento dello stato passivo è congegnato in modo da garantire la partecipazione di tutti i soggetti titolari di pretese creditorie nei confronti del debitore fallito, nonché la pienezza del contraddittorio processuale, l’esercizio del diritto di difesa in relazione al credito vantato, anche attraverso l’appendice oppositiva, nonché il rispetto della concorsualità.
Il Codice della crisi - ponendosi in continuità dispositiva con la Legge fallimentare (cfr. art. 96 l.f.) - ha stabilito che “sono ammessi al passivo con riserva: a) i crediti condizionati e quelli indicati all’articolo 154, comma 3; b) i crediti per i quali la mancata produzione del titolo dipende da fatto non riferibile al creditore, a condizione che la produzione avvenga nel termine assegnato dal giudice; c) i crediti accertati con sentenza del giudice ordinario o speciale non passata in giudicato, pronunziata prima della dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale” (art. 204, co. 2, Codice della crisi d’impresa).
Con specifico riferimento alla nozione di credito condizionato i Giudici della Prima Sezione della Corte di Cassazione ne hanno individuato, a livello pretorio, due diverse interpretazioni: secondo la giurisprudenza di legittimità maggioritaria le ipotesi di credito condizionato sono tassative, non essendo ammissibile l’allargamento del relativo perimetro attraverso il ricorso all’analogia; una parte minoritaria della giurisprudenza di legittimità, invece, basandosi sulla fattispecie esemplificativa di cui all’art. 55, co. 3, l.f. (ora art. 154 Codice della crisi d’impresa), inserisce all’interno della categoria dei crediti condizionati anche altre tipologie di crediti.
Nello specifico caso di azione di risoluzione contrattuale proposta dal contraente adempiente prima della dichiarazione di fallimento (oggi, apertura della liquidazione giudiziale) dell’altro contraente si pone la (ulteriore) questione se la cognizione sulle connesse domande dipendenti (restitutorie) o accessorie (risarcitorie) debba essere o meno devoluta al Tribunale fallimentare (oggi, Tribunale concorsuale), atteso il rinvio da parte dell’art. 72, co. 5, l.f. (oggi, art. 172 Codice della crisi d’impresa.) alle disposizioni relative al procedimento di accertamento del passivo: trattasi di questione, la cui risoluzione presuppone il previo accertamento circa la qualificabilità del credito restitutorio o risarcitorio come condizionato.
Alla luce di tale composito (e incerto) quadro normativo-giurisprudenziale i Giudici della Prima Sezione hanno, quindi, ritenuto di rimettere gli atti alla Prima Presidente per l’eventuale assegnazione della causa alle Sezioni Unite.