Le attività conservative di un’azienda fallita non consentono il licenziamento di una lavoratrice madre

Le attività conservative di un’azienda fallita non consentono il licenziamento di una lavoratrice madre
La Suprema Corte ha ritenuto che debba essere esclusa la possibilità di licenziamento di una lavoratrice madre entro il primo anno di età del minore quando sussista la possibilità di una continuazione o l’esistenza dell’azienda.

Una lavoratrice con qualifica di impiegata veniva licenziata entro l’anno di età del minore dalla curatela del fallimento, al rientro dal congedo per maternità obbligatoria sul presupposto che l’esercizio provvisorio dell’attività della cooperativa fallita non era stata autorizzata ai sensi dell’art. 104 legge fallimentare al momento della ripresa del servizio.

Il Tribunale di Arezzo, nell’accogliere il ricorso, dichiarava la nullità del licenziamento con sentenza confermata dalla Corte di Appello di Firenze che accertava che al momento del licenziamento erano in corso attività conservative dell’impresa fallita in una prospettiva di cessione.

La Corte di Cassazione con sentenza n. 36527 del 19 dicembre 2023, dichiarando di privilegiare una “prospettiva sostanzialistica”, ha ritenuto che il permanere di attività conservative in funzione di trasferimento a terzi (motivo per il quale era in corso una selezione del personale da mantenere in servizio) imponeva di ritenere non configurabile il requisito legittimante della cessazione dell’attività di impresa.

La Suprema Corte ha, pertanto, ritenuto che debba essere esclusa la possibilità di licenziamento di una lavoratrice madre entro il primo anno di età del minore quando sussista la possibilità di una continuazione o l’esistenza dell’azienda in qualsiasi modo ciò avvenga.

Avv. Nicoletta Di Lolli

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