Dopo dieci anni di battaglie, la Corte Suprema degli Stati Uniti si è pronunciata nel procedimento sull'utilizzo, da parte di Google, delle API Java appartenenti ad Oracle, per decidere se si tratta o meno di “fair use” ai sensi dello US Copyright Atto.
Il 5 aprile scorso si è conclusa la battaglia durata oltre dieci anni che vedeva Oracle contrapporsi al colosso Google: la Corte Suprema americana ha dichiarato che Google non ha violato la legge nazionale sul copyright quando ha sviluppato il suo sistema operativo Android sfruttando un codice di Oracle .
Il caso riguardava circa 12 mila linee di codice che Google ha usato per realizzare il proprio sistema operativo e che, secondo l'accusa, sarebbe stato copiato da un'applicazione di programmazione Java sviluppata da Sun Microsystems, acquisita da Oracle nel 2010.
I magistrati hanno considerato “ fair use ” l'uso da parte di Google di una porzione di codice Java per le API ( Application Programming Interfaces – veri e propri onnipresenti intermediari software che permettono a applicazioni, siti e programmi di dialogare fra loro).
La Corte federale aveva inizialmente dato ragione a Oracle nel marzo del 2018, dando ancor più risonanza al ribaltamento della decisione ad opera della Corte Suprema.
Il caso è stato seguito con attenzione nell'intero settore hi-tech americano, per le potenziali ripercussioni nella creazione di software .
Secondo Google, il codice era utilizzabile protetto perché dalla dottrina del « fair use », ovvero una disposizione legislativa dell'ordinamento americano che permette l'utilizzo di materiale protetto da copyright per alcuni scopi, come l'informazione, senza bisogno di chiederne l' autorizzazione a chi detiene i diritti. Tale dottrina è per tradizione considerata una esclusiva della legislazione degli Stati Uniti.
Il colosso americano ha affermato che questo genere di codice viene usato abitualmente e senza ostacoli da sviluppatori per migliorare le funzionalità e l'interoperabilità dei prodotti.
Oracle ha tuttavia reagito duramente alla sconfitta, invocando il monopolio di Google e l'interesse delle autorità americane ed europee proprio sulle pratiche di business del colosso statunitense, auspicando una presa di posizione netta sul tema.
Avv. Priscilla Casoni