La Corte di Cassazione con sentenza n. 18070 del 23 giugno 2023 ha stabilito che l’intempestività della contestazione disciplinare determina l’applicazione della tutela indennitaria “forte”.
Un dipendente di un istituto di credito a seguito di un audit interno veniva licenziato per avere illegittimamente disatteso le procedure della banca per le operazioni della filiale.
Il lavoratore adiva il Tribunale di Gela contestando sia la tempestività degli addebiti avvenuti molto tempo prima che la loro fondatezza. Il Tribunale accoglieva la domanda del lavoratore condannando la società al pagamento di un indennizzo ridimensionato in sede di appello dalla Corte di appello di Caltanissetta che, pur ritenendo fondati gli addebiti dichiarava l’illegittimità del licenziamento per tardività della contestazione con applicazione della tutela indennitaria per la violazione procedurale.
La Corte di Cassazione con sentenza n. 18070 del 23 giugno 2023 ha riformato la sentenza ritenendo che il colpevole ritardo nell’addebito determini l’applicazione della tutela indennitaria “forte” e non attenuta per vizi procedurali.
La Suprema Corte ha infatti distinto a seconda che la tardività sia rilevabile da una norma del CCNL nel qual caso dovrà applicarsi la misura attenuata mentre nell’ipotesi di violazione del principio generale di tempestività la sanzione dovrà essere quella indennitaria forte. L'intempestività della contestazione connota – ad avviso della Cassazione - il comportamento datoriale che viola i canoni di correttezza e buona fede di cui agli articoli 1175 e 1375 c.c. i quali governano anche l'esercizio del potere disciplinare il quale deve essere improntato alla massima trasparenza poiché incide sulle sorti del rapporto e sulle relative conseguenze giuridiche ed economiche.
La Suprema Corte conclude pertanto che - pur sussistente l'inadempimento posto a base del licenziamento - la mancanza di una tempestiva contestazione disciplinare in violazione dei principi di correttezza e buona fede comporta il venir meno della punibilità per effetto della condotta dallo stesso datore di lavoro tenuta e si rientra in quelle "altre ipotesi" per le quali si applica il comma 5 dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
Avv. Nicoletta Di Lolli