
Con l’ordinanza n. 18599, pubblicata in data 8 luglio 2025, la Prima Sezione civile della Corte di Cassazione si è pronunciata sulla questione del rango riconoscibile al credito restitutorio vantato dalla holding in virtù di un finanziamento discendente in sede di ammissione allo stato passivo del fallimento (oggi, liquidazione giudiziale) dichiarato a carico della società eterodiretta.
I Giudici di legittimità hanno statuito che “[a]i sensi del combinato disposto degli artt. 2467 e 2497-quinquies c.c., stante l’esigenza di tutela dei creditori da finalità elusive, devono considerarsi postergati anche i finanziamenti effettuati, nell’ambito dell’attività di direzione e coordinamento infragruppo, dalla società controllante in favore della società controllata tramite l’intermediazione di altra società che controlla la società finanziata ed è a sua volta controllata dalla società finanziatrice (cd. “finanziamento discendente”)” (Cass. n. 18599/2025 cit., massima rv. 674920-01).
Come noto, l’art. 2467 c.c. ha fissato la regola della postergazione ex lege del rimborso dei finanziamenti concessi dai soci alla società “rispetto alla soddisfazione degli altri creditori” (co. 1), postergazione finalizzata a “regolare i fenomeni di sottocapitalizzazione nominale in società “chiuse”” (Cass. civ., Sez. I, 7 luglio 2015, n. 14056), nell’ottica - ritenuta preminente - della tutela del ceto creditorio, in ragione della (dirimente) constatazione che il finanziamento da parte del socio comporta un aumento dell’indebitamento della società con conseguente aggravio dello squilibrio patrimoniale e inevitabili effetti distorsivi della par condicio creditorum.
Sancendo la postergazione legale del credito il legislatore ha voluto impedire l’utilizzo dello strumento del finanziamento “quale tecnica di traslazione sui creditori e sui terzi del rischio da continuazione dell’attività in regime di crisi, con eventuale profitto dei soci ed aggravamento del dissesto a scapito dei creditori: fenomeno determinato dalla convenienza dei soci a ridurre l’esposizione al rischio d’impresa, apportando nuove risorse a disposizione dell’ente collettivo nella forma del finanziamento, anziché in quella appropriata del conferimento” (Cass. civ., Sez. I, 15 maggio 2019, n. 12994).
Pertanto, il credito del socio finanziatore, ove concesso in presenza delle condizioni enucleate dall’art. 2467, co. 2, c.c., “subisce una postergazione legale, la quale non opera una riqualificazione del prestito da finanziamento a conferimento con esclusione del diritto al rimborso, ma incide sull’ordine di soddisfazione dei crediti” (Cass. civ., Sez. I, 6 luglio 2022, n. 21422).
Per quanto attiene al regime concorsuale l’art. 2467 c.c., nella versione antecedente all’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa, stabiliva che il rimborso dei finanziamenti dei soci, “se avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito” (co. 1): tale disposizione è stata eliminata e trasferita nell’articolato del Codice, il quale ha sancito l’inefficacia dei rimborsi dei finanziamenti dei soci “eseguiti dal debitore dopo il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della procedura concorsuale o nell’anno anteriore” (art. 164, co. 2, c.c.i.), anticipando il dies a quo, coincidente con la data di presentazione della domanda, anziché con quella di apertura della liquidazione giudiziale.
Con riferimento al gruppo di imprese e al caso in cui il finanziamento sia stato concesso dalla holding (ovvero dalla società esercitante l’attività di direzione e coordinamento) alla società eterodiretta, successivamente sottoposta alla liquidazione giudiziale, in via mediata (id est, attraverso l’interposizione di altra società controllata in via totalitaria), il finanziamento c.d. discendente è da considerarsi postergato ai sensi del combinato disposto degli artt. 2467 e 2497-quinquies c.c., in quanto, “[d]iversamente ragionando, sarebbe gioco facile aggirare il divieto di finanziamento da parte del socio e di pregiudizio delle ragioni dei creditori sociali […] Basterebbe, cioè, da parte della società che esercita l’attività di direzione e coordinamento operare il finanziamento della società sottoposta al suo controllo per il tramite di altra società del gruppo dalla stessa controllata (e controllante la finanziata) per poter concorrere con gli altri creditori nell’ambito del passivo fallimentare alla restituzione del finanziamento e per eludere la finalità protettiva delle norme […] citate” (Cass. n. 18599/2025 cit.).