Con la recente ordinanza n. 14381, la Suprema Corte ha messo in evidenza la necessità per cui l'espressione di un consenso al trattamento dei propri dati personali, specie se tale trattamento avviene in forma automatizzata mediante l'utilizzo di un algoritmo, deve risultare consapevole ed informata, anche per quanto attiene alle logiche di funzionamento dell'algoritmo medesimo.
Il caso di specie riguarda un fenomeno in crescente espansione, quello dei portalidi rating reputazionale, e prende in esame una piattaforma web (“Piattaforma”) deputata all'elaborazione di profili reputazionali – muniti di relativo punteggio – dei propri iscritti, col fine di contrastare la creazione di profili artefatti e/o inveritieri e, quindi, consentire ai terzi di consentire una verifica reputazionale concreta e scevra da fenomeni distorsivi.
La vicenda giudiziaria collegata al funzionamento della Piattaforma prende le proprie mosse da un provvedimento con il quale l'Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali (“Garante Privacy”) disponeva il divieto di qualunque operazione di trattamento dati effettuata sulla Piattaforma, rilevandone una serie di illiceità rispetto alle prescrizioni di cui al D. Lgs. n. N. 196/2003 (“Codice Privacy”), nella sua versione precedente.
I titolari della Piattaforma, quindi, ricorrevano dinanzi al Tribunale di Roma per l'annullamento del suddetto provvedimento e, in parziale accoglimento delle istanze promosse, il Tribunale riconosceva la liceità dei servizi offerti dalla Piattaforma – ivi includendosi il relativo trattamento dati – richiamando, in buona sostanza, il superiore valore da attribuirsi all'autonomia privata degli aderenti a tale iniziativa ed il consenso al trattamento dai medesimi espresso.
Il Garante Privacy promuoveva quindi ricorso per Cassazione avverso la pronuncia del tribunale romano sulla base di ben sette motivi. Tra questi, in particolare, l'Autorità contestava una serie di violazioni in materia di “informativa” e “consenso”, derivanti dalla circostanza fondamentale per cui risultasse evidentemente inconoscibile l'algoritmo utilizzato per l'assegnazione del rating , con conseguente mancanza del necessario requisito di trasparenza dello strumento automatizzato.
La Suprema Corte, mediante il provvedimento in esame, ha quindi accolto le doglianze del Garante Privacy, constatando come il Tribunale di Roma precedentemente adito avesse differenze limitate la propria analisi alla verifica circa la sussistenza di un consenso alla base del trattamento, non interrogandosi, però , relativamente ai requisiti di valida espressione dello stesso.
In particolare, a mente degli Ermellini, si ritiene che, al fine di valutare compiutamente la liceità di un simile trattamento basato sul consenso, non potrebbe prescindersi da un'adeguata considerazione degli elementi suscettibili di incidere su tale manifestazione di volontà e, tra questi, proprio degli elementi implicati nel funzionamento dell'algoritmo e nel calcolo del rating .