Che fine fanno i crediti di una società cancellata dal registro delle imprese se non sono iscritti nel bilancio finale di liquidazione? Con la sentenza delle Sezioni Unite n. 19750 del 16 luglio 2025, la Cassazione è intervenuta a chiarire un profilo di significativa rilevanza in ambito societario.
Considerazioni preliminari
La decisione delle Sezioni Unite mira a risolvere un contrasto giurisprudenziale “in ordine alla configurabilità di una tacita rinuncia ai crediti della società non compresi nel bilancio finale di liquidazione, come effetto automatico della cancellazione della società dal registro delle imprese, con conseguente estinzione della società, in pendenza del giudizio volto a farli accertare”. In altre parole, la pronuncia mira a comprendere se (e perché), in caso di cancellazione della società dal registro delle imprese, vi sia o meno un trasferimento in capo ai soci dei crediti (mere pretese o crediti incerti/illiquidi) non incassati dalla società prima della sua estinzione.
I fatti di causa
Il caso trae origine da una controversia in ambito bancario, promossa da una società intestataria di un conto corrente nei confronti della banca per la restituzione di somme versate a titolo di interessi.
Dunque, mentre in primo grado, il Tribunale di Napoli respingeva le domande attoree, ritenendo estinta la pretesa creditoria della società, sul presupposto che la pretesa azionata fosse stata rinunciata implicitamente per effetto della cancellazione della società dal registro delle imprese, la Corte d’Appello – all’opposto – condannava la banca, ritenendo che la cancellazione della società non avesse determinato di per sé alcuna automatica rinuncia al credito da parte della società. Secondo la Corte, infatti, per la rinuncia del credito, era necessaria la comunicazione da parte del creditore della volontà di rimettere il debito, con la conseguenza che i diritti vantati dalla società estinta, anche se non riportati nel bilancio finale di liquidazione, erano transitati nella titolarità dei soci.
La causa giungeva, quindi, in Cassazione. Successivamente veniva rimessa avanti alle Sezioni Unite per dirimere il contrasto tra i due diversi orientamenti giurisprudenziali affermatisi circa la sopravvivenza dei crediti sociali controversi e al conseguente trasferimento in capo ai soci.
Il contrasto giurisprudenziale
Dando per assodato che la cancellazione della società dal registro delle imprese determina la trasmissione ai soci dei rapporti obbligatori già facenti capo alla società, le SS.UU. evidenziano che, da un lato, un primo orientamento ritiene che il mancato inserimento dei crediti (mere pretese e crediti incerti o illiquidi) nel bilancio di liquidazione della società estinta determini una presunzione di rinuncia ad essi da parte della società. Di conseguenza, è impedita la trasmissione del credito ai soci ed è imposto a carico dell’ex socio che agisca a tutela del credito l’onere di provare l’intervenuta successione nel diritto.
Di contro, l’orientamento opposto – e condiviso dalle Sezioni Unite – esclude la presunzione di rinuncia al credito, in virtù del fatto che la regola è, appunto, la trasmissione dei crediti ai soci; con la conseguenza che una volontà abdicativa del credito da parte del socio vada provata da parte del debitore.
Le osservazioni delle Sezioni Unite
Nell’accogliere quest’ultima tesi, la Cassazione solleva alcune obiezioni alla presunzione di rinuncia del credito: seguire la prima tesi determinerebbe, infatti, delle difficoltà anche di carattere pratico-operativo. Tra di esse, la Corte evidenzia la difficoltà di iscrivere in bilancio le “mere pretese”. Altresì rileva che una presunzione di rinuncia, più o meno automatica, dei crediti della società potrebbe esporre a pregiudizio anche le legittime aspettative dei creditori sociali, “i quali, pur vedendo ridotto il valore patrimoniale complessivamente destinato alla soddisfazione dei loro crediti, in misura pari al valore della pretesa o del credito incerto o illiquido”, non avrebbero alcun mezzo di tutela a fronte della cancellazione della società.
Infine, evidenzia una difficoltà in termini nel ricondurre un comportamento meramente omissivo – come, appunto la mancata inclusione del credito nel bilancio di liquidazione – ai canoni civilistici della rinuncia al credito o remissione di debito (art. 1236 c.c.), che, al contrario, richiede un comportamento attivo. La remissione del debito richiede, infatti, che una manifestazione di volontà del creditore in tal senso sia portata a conoscenza del debitore, e, parimenti, che vi sia l’assenza di una dichiarazione da parte del debitore di non volerne profittare.
Il principio di diritto
Sulla scorta di tali considerazioni, le Sezioni Unite accolgono, quindi, il secondo orientamento e pronunciano il seguente principio di diritto: «L’estinzione della società, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non comporta anche l'estinzione dei crediti della stessa, i quali costituiscono oggetto di trasferimento in favore dei soci, salvo che il creditore abbia inequivocamente manifestato, anche attraverso un comportamento concludente, la volontà di rimettere il debito, comunicandola al debitore, e sempre che quest'ultimo non abbia dichiarato, in un congruo termine, di non volerne profittare: a tal fine, non risulta tuttavia sufficiente la mancata iscrizione del credito nel bilancio di liquidazione, la quale non giustifica di per sé la presunzione dell'avvenuta rinunzia allo stesso, incombendo al debitore con-venuto in giudizio dall'ex-socio, o nei confronti del quale quest'ultimo intenda proseguire un giudizio promosso dalla società, l’onere di allegare e provare la sussistenza dei presupposti necessari per l'estinzione del credito».