Affidamento bancario e azione giudiziale di ripetizione d’indebito

Affidamento bancario e azione giudiziale di ripetizione d’indebito
Con la sentenza n. 19750 emessa in data 16 luglio 2025 le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione si sono pronunciate sulla questione se l’azione di accertamento del saldo del conto, finalizzata alla ripetizione delle somme indebitamente addebitate dalla banca, sia proponibile da parte del correntista soltanto a seguito della cessazione del rapporto di conto corrente.

Il Supremo Collegio ha chiarito che “anche in assenza di rimesse solutorie, non può escludersi l’interesse ad agire in giudizio, prima della chiusura del conto, per ottenere l’accertamento dell’invalidità delle clausole contrattuali che prevedano l’applicazione d’interessi ultralegali o usurari o la capitalizzazione degl’interessi o l’addebito di altre poste illegittime ed il ricalcolo dell’ammontare del saldo, avendo l’azione come obiettivo, in tal caso, il conseguimento di un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza una pronuncia del giudice, consistente nell’esclusione, per il futuro, di ulteriori annotazioni illegittime, nel ripristino di una maggiore estensione dell’affidamento accordato e nella riduzione dell’importo che la banca, una volta rielaborato il saldo, potrà pretendere alla cessazione del rapporto” (Cass. n. 19750/2025 cit.).

Per pervenire a tale conclusione i Giudici di legittimità hanno in primis ricordato che “[u]no spostamento patrimoniale suscettibile di ripetizione si verifica soltanto a seguito della cessazione del rapporto, in caso di estinzione del debito corrispondente al saldo di chiusura, nel cui calcolo siano stati computati gl’interessi non dovuti, oppure quando, in pendenza del rapporto, il correntista abbia effettuato rimesse solutorie, per tali dovendosi intendere quei versamenti che, in quanto avvenuti in presenza di un saldo passivo eccedente la misura dell’affidamento concesso dalla banca, non abbiano una funzione meramente ripristinatoria della provvista esistente sul conto”.

Al fine della promuovibilità dell’azione di ripetizione dell’indebito oggettivo, disciplinata - a livello codicistico - dall’art. 2033 c.c., “occorre che sia stato effettuato un pagamento indebito, cioè che il solvens abbia eseguito una prestazione di dare in virtù di un titolo giuridico che risulti a posteriori invalido o inesistente, la quale abbia comportato uno spostamento patrimoniale in favore dell’accipiens” (Cass. n. 19750/2025 cit.).

Con specifico riferimento al contratto di apertura di credito in conto corrente il pagamento indebito, necessario per il sorgere del diritto alla ripetizione ex art. 2033 c.c., “non si verifica per effetto della mera annotazione in conto d’interessi o altre poste passive sulla base di una clausola illegittima, la quale non dà luogo ad un’immediata attribuzione in favore della banca” (Cass. n. 19750/2025 cit.). Ciò in quanto, in virtù del disposto dell’art. 1823, co. 1, c.c., i crediti derivanti dalle reciproche rimesse sono inesigibili e indisponibili fino alla chiusura del conto corrente.

Ne discende, secondo le Sezioni Unite, che “l’accoglimento della domanda non può […] tradursi nella condanna della banca alla restituzione degl’importi illecitamente addebitati, ma solo nella determinazione di un saldo depurato delle annotazioni illegittime, giacché soltanto a seguito della chiusura del conto, venuta meno l’indisponibilità dei singoli crediti prevista dall’art. 1823, primo comma, cod. civ., l’azione di ripetizione può determinare l’obbligo della banca di rimborsare le somme indebitamente incamerate” (Cass. n. 19750/2025 cit.).

Avv. Rossana Mininno

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