Con l’ordinanza n. 32545 del 13 dicembre 2025 (“Ordinanza”), la Suprema Corte affronta la portata applicativa dell’art. 2476, ottavo comma, c.c., delineando i presupposti oggettivi e soggettivi della responsabilità solidale, in relazione agli atti di mala gestito, del socio non amministratore di S.r.l.
L’Ordinanza viene pronunciata, nell’ambito di un ricorso avverso alla sentenza della Corte d’Appello di Firenze, che confermava la sentenza di primo grado e riconosceva in capo al socio di una Società a Responsabilità Limitata in liquidazione, la responsabilità solidale (con gli amministratori della partecipata) ai sensi dell’art 2476 c.c., per aver intenzionalmente autorizzato e condizionato talune scelte gestorie.
Ebbene, partendo dall’assunto che la “Riforma delle società di capitali del 2003 ha arrecato una profonda trasformazione alla struttura della S.r.l., allontanandone il modello da una "mini-Spa", […] per farne un tipo sociale del tutto autonomo”, la Corte di Cassazione ribadisce anzitutto che, nella nuova formulazione delle S.r.l., il socio assume un ruolo centrale, dotato di incisivi poteri amministrativi e di controllo dell’attività gestoria degli amministratori; da qui la possibilità che sia chiamato a rispondere, in concorso con gli amministratori, dei danni arrecati alla società, agli altri soci o ai terzi.
Ciò premesso, la Suprema Corte prosegue poi con l’analisi letterale dell’art 2476, comma ottavo, c.c.[1], evidenziando che, ai fini della sua configurabilità, (i) sotto il profilo oggettivo, “i fatti attribuiti al socio debbono essere fatti di gestione, che egli abbia concorso a prendere con gli amministratori o che abbia, comunque, consapevolmente autorizzato o indotto gli amministratori a prendere” e, di conseguenza, il socio della S.r.l. “pur non formalmente amministratore, per effetto di tali condotte diviene sostanzialmente amministratore e degli eventuali effetti dannosi connessi alla deliberazione e/o all'attuazione del deliberato risponde in solido con gli amministratori formali della S.r.l.”; mentre (ii) sotto il profilo soggettivo, “la responsabilità sussiste solo se il socio non amministratore si è rappresentato le conseguenze della sua condotta (in termini di influenza sulla gestione) e ha ciononostante voluto porre in essere il comportamento di ingerenza”.
Sul punto, appaiono particolarmente rilevanti le argomentazioni operate dalla Cassazione, attraverso le quali viene chiarito che il legislatore ha inteso circoscrivere la responsabilità del socio alle sole ipotesi di dolo, come dimostra l’uso dell’avverbio “intenzionalmente”; restando, pertanto, fuori dall’ambito applicativo della norma le condotte tipicamente colpose – attribuibili, invece, ai soli amministratori - quali quelle di mera ignoranza, inerzia o noncuranza.
All’esito di siffatte argomentazioni, la Corte conclude formulando il principio di diritto secondo cui “in tema di società a responsabilità limitata, la responsabilità solidale del socio con gli amministratori, di cui all'art. 2476, ottavo comma, cod. civ., si determina, a livello oggettivo, con l'accertamento del compimento da parte del socio dell'atto di gestione rivelatosi dannoso o con la consapevole autorizzazione o induzione da parte sua al relativo compimento da parte dell'organo amministrativo e, a livello soggettivo, con l'accertamento della piena e preordinata consapevolezza da parte del socio del compimento dell'atto stesso, qualificabile come stato soggettivo doloso e non già meramente colposo”.
Avv. Andrea Bernasconi e Avv. Achille Iamele
[1] il quale prevede uno specifico profilo di corresponsabilità in capo ai soci delle S.r.l. “che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi.”