La Corte di Cassazione affronta nuovamente l’annoso tema dei controlli difensivi e delle problematiche sottese agli strumenti di controllo della prestazione lavorativa del dipendente, ribadendo, con la recentissima sentenza n. 13019 del 24 maggio 2017, l’inutilizzabilità degli elementi acquisiti qualora le modalità di controllo operate dal datore di lavoro siano illegittime.
Il caso sottoposto al vaglio della Suprema Corte riguarda la censura proposta dalla società datrice di lavoro, sotto il profilo della violazione di legge e dell’error in procedendo, avverso la statuizione della Corte territoriale in ordine all’inutilizzabilità delle riprese effettuate dall’agenzia investigativa ai fini della prova dell’addebito contestato, riguardante l’appropriazione da parte del lavoratore del corrispettivo incassato per la vendita dei prodotti per i quali non aveva emesso lo scontrino (il ricorrente svolgeva mansioni di banconista a bordo delle navi traghetto in servizio sullo stretto di Messina).
La Suprema Corte ha respinto il motivo di gravame della società che lamentava che i filmati realizzati da una agenzia investigativa, effettuati attraverso l’utilizzo di una telecamera non autorizzata, non erano stati ritenuti una valida prova da parte del giudice, nonostante l’assenza nel codice di rito di una norma che precluda l’uso di prove illegittimamente acquisite alla stregua dell’art. 191 c.p.p.
La sentenza si segnala per aver “sdoganato” anche nel processo civile il principio della inutilizzabilità di una prova illegittimamente acquisita.
La violazione dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori impedisce al Giudice, quindi, di applicare la regola “male captum bene retentum” che fino ad ora era prevalente.
Ne deriva, pertanto, che gli elementi ottenuti a seguito di tali controlli risultano inutilizzabili ai fini probatori perché illegittimamente acquisiti.
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