La Corte di Cassazione ha recentemente affermato che incombe sul datore di lavoro l’onere di dimostrare i presupposti legittimanti il licenziamento per giustificato motivo oggettivo sia in ordine alle ragioni aziendali e produttive sia per l’impossibilità di adempimento dell’obbligo di repechage.
Un lavoratore impugnava giudizialmente il licenziamento intimatogli per giustificato motivo oggettivo per veder accertata l’illegittimità dello stesso.
Il Giudice del lavoro - sia nella fase sommaria che di opposizione - dichiarava l’illegittimità del licenziamento condannando la società resistente alla corresponsione in favore del lavoratore di un’indennità risarcitoria. La decisione di primo grado veniva confermata anche in sede di appello.
Il lavoratore adiva la Suprema Corte di Cassazione al fine di veder applicata la tutela reintegratoria.
La Corte di Cassazione con sentenza n. 34049 del 18 novembre 2022, in parziale accoglimento del ricorso promosso, riconosce l’applicazione della tutela reintegratoria in conformità a quanto definito dalla Corte Costituzionale con le sentenze n. 59 del 2021 e n. 125 del 2022.
La Suprema Corte ha affermato che sia onere del datore di lavoro dimostrare i presupposti legittimanti il licenziamento intimato per ragioni inerenti l’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa, ex art. 3 legge n. 604 del 1966.
Il datore di lavoro deve, quindi, dimostrare che il fatto costitutivo posto alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo sia rappresentato da esigenze inerenti l’attività produttiva e dall’impossibilità di poter ricollocare il lavoratore in altre mansioni (cd repechage).
La manifesta insussistenza del fatto posto alla base del giustificato motivo oggettivo, pertanto, comporta l’applicazione della tutela di cui al comma 4° dell’art. 18 stat. lav. implicante la reintegra del lavoratore nel posto di lavoro e il pagamento un’indennità risarcitoria.
Avv. Nicoletta Di Lolli