La volontà di impugnare un licenziamento non richiede formule sacramentali

La volontà di impugnare un licenziamento non richiede formule sacramentali
La Corte di Cassazione con una recente sentenza ha stabilito che ai fini della validità dell’impugnativa stragiudiziale del licenziamento è sufficiente un qualsiasi atto scritto dal quale si rilevi la volontà del lavoratore di contestare il provvedimento datoriale.

Un lavoratore di una azienda sanitaria licenziato per inidoneità alla mansione, nel ricevere la lettera con la quale veniva comunicata la cessazione del rapporto, sottoscriveva in calce la comunicazione ricevuta scrivendo “prendo solo per ricevuta visione della lettera non condividendo né la forma né il contenuto".

Il Tribunale di Imperia adito dal lavoratore per l’annullamento del licenziamento respingeva la domanda, con sentenza confermata in sede di appello sul presupposto che il lavoratore era da ritenersi decaduto per non avere impugnato il provvedimento espulsivo con una univoca dichiarazione nel termine di 60 giorni dalla ricezione.

La Corte di Cassazione con sentenza n. 17731 del 21 giugno 2023 ha accolto il ricorso  del lavoratore richiamando il proprio consolidato orientamento per il quale ai fini dell'impugnazione stragiudiziale del licenziamento è sufficiente un qualunque atto scritto con cui il lavoratore manifesti al datore di lavoro, con qualsiasi termine, anche non tecnico, e senza formule prestabilite, la volontà di contestare la validità e l'efficacia del provvedimento potendosi ritenere sufficiente anche una manifestazione di volontà implicita la riserva di tutela dei propri diritti davanti all'autorità giudiziaria.

Avv. Nicoletta Di Lolli

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