La responsabilità delle piattaforme ibride nell’e-commerce: la recente decisione tedesca sulla scia del caso Amazon contro Louboutin

La responsabilità delle piattaforme ibride nell’e-commerce: la recente decisione tedesca sulla scia del caso Amazon contro Louboutin
La decisione del Tribunale Regionale di Düsseldorf fa per la prima volta applicazione dei principi espressi dalla CGUE sul caso Amazon-Louboutin, sancendo in concreto la possibilità che una piattaforma di e-commerce ibrida possa essere considerata responsabile per la violazione del design altrui commessa da terze parti. 

Le piattaforme ibride “MSP”

In tempi recenti, il mondo dell’e-commerce ha intrapreso un’evoluzione senza precedenti. I mercati digitali guidati da giganti come Amazon hanno assistito ad una rapida trasformazione, non solo nei prodotti e nei servizi offerti, ma anche nei modelli organizzativi con cui questi vengono promossi e consegnati al pubblico. Tali mutamenti fanno emergere una serie di sfide, uniche nel loro genere.

Una delle problematiche più evidenti riguarda la distribuzione di prodotti di terzi attraverso piattaforme che si prestano ad essere intermediari di beni e servizi. La loro crescente popolarità presso il pubblico e il loro utilizzo da parte di moltissimi venditori ha portato alla proliferazione sulle stesse di offerte di prodotti contraffatti. Di conseguenza ci si chiede su chi ricada la responsabilità in tali ipotesi e dove trovare tutela.

Per comprendere l’origine del problema, è necessario formulare una breve premessa circa la struttura di queste particolari piattaforme, definite come “Multisided Platforms” (“MSP”), cioè complessi organizzativi in grado sia di agire direttamente come venditori dei prodotti, sia di mettere in relazione gruppi di utenti con obiettivi distinti, cioè venditori e compratori, tra loro interdipendenti. Le piattaforme MSP possono dunque anche non essere esse stesse proprietarie dei beni che vendono, ma ricavare un utile dalla conclusione dei contratti relativi ai prodotti di terzi sotto forma di commissione, restando tuttavia coinvolte nel processo e mettendo spesso a disposizione i propri servizi di spedizione e pagamento.

Questo modello “ibrido”, incarnato ad esempio da Amazon, non solo offre al mercato beni di terzi, ma mette a disposizione dei venditori la struttura organizzativa della piattaforma per immagazzinare e favorire la promozione e consegna dei prodotti agli acquirenti finali.

Il caso Amazon-Louboutin

Tale ruolo ibrido ha comportato che la più nota di queste piattaforme, la già citata Amazon, venisse messa sotto scrutinio per i prodotti – contraffatti – messi in vendita da terzi attraverso di essa. In particolare, il colosso statunitense è stato tacciato di pubblicizzare alcuni prodotti di terze parti con annesso un segno contraffatto e, soprattutto, di aver consentito lo stoccaggio e la consegna di tali prodotti sotto il proprio nome, assumendo in tal senso un ruolo attivo nella loro vendita. Tale, in sostanza, l’accusa mossa nel 2019 dalla nota casa di moda Christian Louboutin nei confronti di Amazon Europe in Belgio e Lussemburgo.

A tale riguardo, Amazon si è difesa sollevando diverse obiezioni, in particolare sostenendo che l’apposizione del proprio marchio distintivo sugli annunci di vendita di terze parti non implicava un proprio coinvolgimento in tali annunci, trattandosi piuttosto di una pratica comune anche in altre piattaforme digitali per identificare la provenienza dei servizi di gestione.

Secondo Amazon, i consumatori erano in grado di distinguere i marchi e i prodotti di terze parti da quelli della rinomata piattaforma, non essendo l’unica distributrice ma accogliendo invece mercati tra loro diversi. Amazon, in questo modo, negava l’esistenza di una propria responsabilità riguardo alla presenza prodotti contraffatti.

La decisione del Tribunale regionale di Düsseldorf

Nel dicembre 2022, in risposta al rinvio dei Tribunali di Lussemburgo e di Bruxelles, è giunta la risposta della Corte di Giustizia dell’Unione Europea su come definire la responsabilità dei mercati online in caso di violazioni di marchi, la quale ha stabilito che un mercato online potrebbe essere considerato responsabile se un consumatore medio percepisce una relazione tra il marchio e i servizi della piattaforma. L’esistenza di un nesso fra il segno e i prodotti commercializzati sarebbe dunque sufficiente a fondare la responsabilità in capo alla piattaforma ibrida.

A distanza di otto mesi dalla decisione della CGUE si è espresso sul tema (anche se nel campo affine del design) il Tribunale Regionale di Düsseldorf, che il 21 Agosto 2023 ha sancito una violazione del design su una lampada a led da parte di alcune sussidiarie europee di Amazon a causa della promozione e vendita di lampade in contraffazione di tale design sulla piattaforma Amazon.de, in applicazione della legge sui disegni e modelli comunitari. Questa sentenza rappresenta una svolta significativa nella definizione della responsabilità delle piattaforme online nel contesto del diritto del design, segnando il primo esempio noto di applicazione degli standard stabiliti dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) nel caso Louboutin, espressamente richiamato dalla corte tedesca. In particolare, fa concreta applicazione dei principi espressi a livello UE in astratto: le piattaforme ibride possono essere considerate responsabili per le violazioni di design o marchi se agiscono in modo da promuovere direttamente l’uso di tali design o marchi, anziché a limitarsi a svolgere un ruolo di intermediari.

Il tribunale, nell’esemplificare il concetto di “utilizzo”, ha stabilito che la responsabilità non riguarda solamente l’autore della violazione, ma può estendersi anche a chi contribuisce, assiste o partecipa in modo indiretto alla violazione del design. Ciò significa che non solo il produttore, ma anche chi promuove e facilita la vendita di prodotti in violazione è responsabile dei danni cagionati ai titolari di diritti di privativa.

Conclusioni

L’estensione della responsabilità alla piattaforma di e-commerce ibrida mira evidentemente a garantire una protezione più completa dei diritti di design nel contesto comunitario, senza contare che i principi espressi possono essere applicati anche in altri ambiti della proprietà intellettuale, in linea con l’evoluzione normativa degli ultimi anni e in particolare con il Digital Service Act e il Digital Markets Act.

La decisione del Tribunale di Düsseldorf, pertanto, rappresenta un segnale importante   nell’evoluzione della protezione della proprietà intellettuale nell’ambito digitale, aprendo nuove prospettive per la responsabilità delle piattaforme online e favorendo una maggiore salvaguardia dei diritti dei design e dei marchi a livello europeo.

Avv. Caterina Bo e Dott.ssa Valentina Prando

Newsletter

Iscriviti per ricevere i nostri aggiornamenti

* campi obbligatori