Per la Corte Europea non è discriminatoria la normativa italiana del contratto a chiamata

Per la Corte Europea non è discriminatoria la normativa italiana del contratto a chiamata
Avv. Francesca Frezza La Corte di Giustizia Europea con sentenza del 19 luglio 2017 C-143/16 ha ritenuto in linea con i principi di diritto comunitario la norma nazionale che disciplina il lavoro intermittente escludendone il carattere discriminatorio. Viene, quindi, esclusa sulla base della predetta sentenza la violazione del diritto comunitario della norma che autorizza un datore di lavoro a concludere un contratto intermittente con un giovane che abbia meno di 25 anni. I giudici comunitari, sulla base delle osservazioni del governo italiano precisano, in particolare, che la facoltà accordata ai datori di lavoro di concludere un contratto di lavoro intermittente «in ogni caso» e di risolverlo quando il lavoratore di cui trattasi compia 25 anni di età ha l’obiettivo di favorire l’accesso dei giovani al mercato del lavoro. Il governo italiano ha sottolineato nel corso del giudizio, infatti, che l’assenza di esperienza professionale, in un mercato del lavoro in difficoltà come quello italiano, è un fattore che penalizza i giovani. Inoltre, la possibilità di entrare nel mondo del lavoro e di acquisire un’esperienza, anche se flessibile e limitata nel tempo, può costituire un trampolino verso nuove possibilità d’impiego. La sentenza precisa, quindi, che la promozione delle assunzioni costituisce incontestabilmente una finalità legittima di politica sociale e dell’occupazione degli Stati membri, in particolare quando si tratta di favorire l’accesso dei giovani all’esercizio di una professione. Allo stesso modo, la Corte ha dichiarato che l’obiettivo di favorire il collocamento dei giovani nel mercato del lavoro onde promuovere il loro inserimento professionale e assicurare la protezione degli stessi può essere ritenuto legittimo ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2000/78 In tali circostanze, si deve constatare che la disposizione nazionale di cui al procedimento principale, avendo la finalità di favorire l’accesso dei giovani al mercato del lavoro, persegue una finalità legittima, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2000/78. Occorre, pertanto, esaminare se i mezzi adoperati per il conseguimento di siffatta finalità siano appropriati e necessari. Per quanto concerne l’adeguatezza della disposizione in esame si deve rilevare che una misura che autorizza i datori di lavoro a concludere contratti di lavoro meno rigidi, tenuto conto dell’ampio potere discrezionale di cui godono gli Stati membri in materia, può essere considerata come idonea a ottenere una certa flessibilità sul mercato del lavoro. È immaginabile, infatti, che le aziende possano essere sollecitate dall’esistenza di uno strumento poco vincolante e meno costoso rispetto al contratto ordinario e, quindi, incentivate ad assorbire maggiormente la domanda d’impiego proveniente da giovani lavoratori. La Corte di Giustizia conclude, quindi, affermando che “tenuto conto delle considerazioni che precedono, si deve rispondere alla questione sollevata dichiarando che l’articolo 21 della Carta nonché l’articolo 2, paragrafo 1, l’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), e l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2000/78 devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una disposizione, quale quella di cui al procedimento principale, che autorizza un datore di lavoro a concludere un contratto di lavoro intermittente con un lavoratore che abbia meno di 25 anni, qualunque sia la natura delle prestazioni da eseguire, e a licenziare detto lavoratore al compimento del venticinquesimo anno, giacché tale disposizione persegue una finalità legittima di politica del lavoro e del mercato del lavoro e i mezzi per conseguire tale finalità sono appropriati e necessari”.
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