Recentemente la Cassazione è tornata a pronunciarsi sulla durata dei diritti di utilizzazione economica in capo a Disney Enterprise Inc., già Walt Disney Company, rispetto ad alcuni dei suoi più celebri cartoni animati pubblicati in Italia a partire dagli anni ’30 del secolo scorso, tra cui “Biancaneve e i sette nani”, “Bambi” e “Pinocchio”, questa volta riconoscendola titolare dei diritti di utilizzazione economica in capo a quest’ultimi.
La Cassazione odierna si pone in contrasto con quanto affermato dalle Sezioni Unite penali nel 2009 che avevano invece dichiarato la caduta in pubblico dominio di tali opere.
Grazie alla nuova interpretazione, che applica una tutela retroattiva della normativa vigente, Disney può dormire sonni tranquilli. Eppure, nuovi contenziosi hanno avuto inizio oltreoceano con riguardo ai supereroi più recenti della controllata Marvel Entertainment.
Un contenzioso lungo 30 anni e denso di colpi di scena
Il contenzioso italiano cui si fa riferimento ha visto coinvolte la Disney Enterprise Inc. e le società Electa S.r.l., poi fallita, e Barbatoja S.r.l. nonché i titolari di queste ultime, I. M. e S. M., imprenditori italiani, rispettivamente padre e figlio, costituitisi in giudizio anche a titolo personale.
Lo scontro sorgeva nel 1991 a partire da un sequestro di videocassette che riproducevano alcuni grandi classici della Disney prodotti da dette società italiane e riportanti il bollino S.I.A.E. destinato alle opere cinematografiche già cadute in pubblico dominio, quindi liberamente riproducibili e utilizzabili. Disney si opponeva drasticamente a tale sfruttamento sostenendo che tali opere non fossero cadute in pubblico dominio, detenendone essa stessa ancora i diritti esclusivi.
Il fulcro della controversia, sfociata sia in ambito penale che civile, poi conclusasi, rispettivamente, con sentenze Cass. Pen., SS. UU., n. 49783/2009 e Cass. Civ., sez. I, n. 30036/2011, consisteva proprio nella definizione della normativa applicabile ratione temporis alla durata dei diritti d’autore sulle opere cinematografiche della Disney.
Le Sezioni Unite penali decidevano di considerare la situazione di diritto e di fatto avendo riguardo alla normativa precedente, in particolare, chiedendosi se fossero applicabili le estensioni di durata previste dal D.Lgs. n. 440/1945 e dal D.L.C.P.S. n. 1430/1947 di esecuzione del Trattato di pace di Parigi; con il primo si era prevista una proroga di sei anni rispetto all’allora termine di durata dei diritti sulle opere cinematografiche pari a trent’anni dalla prima proiezione pubblica dell’opera, con il secondo si accordava un termine di sospensione pari alla durata della seconda guerra mondiale ovvero di cinque anni e dieci mesi circa. Esisteva, infatti, un contrasto giurisprudenziale tra sezioni penali della Cassazione che ritenevano le due estensioni temporali applicabili in via alternativa e le sezioni civili che invece le applicavano cumulativamente.
Prendendo posizione su detto contrasto, le Sezioni Unite penali, poi seguite anche dalla Cass. Civile n. 30036/2011, consideravano dunque applicabile alle opere di Walt Disney la sola normativa prevista dal D.Lgs. n. 440/1945 e non quella successiva, il che comportava il riconoscimento della caduta in pubblico dominio delle opere e la non applicabilità in via retroattiva della successiva normativa che estendeva nuovamente, dapprima a cinquanta (D.P.R. n. 19/1979), poi a settant’anni (L. n. 52/1996 e L. n. 52/1996) la durata dei diritti di sfruttamento economico delle opere cinematografiche.
La Suprema Corte affermava, altresì, la non cumulabilità della tutela prevista per le opere cinematografiche con quella concessa ai disegni dei personaggi dei cartoni animati, confermando l’inevitabile caduta in pubblico dominio delle opere
La recente pronuncia della Cassazione civile n. 33598/2021
Con uno scenografico colpo di scena la Cassazione civile è tornata sui suoi passi nel novembre 2021, con sentenza n. 33598, interpellata dal figlio imprenditore rimasto in vita, il quale chiedeva un cospicuo risarcimento danni a carico della Disney a causa dell’asserito ingiustificato sequestro delle videocassette contenenti opere dichiarate cadute in pubblico dominio.
Il contenzioso relativo al risarcimento dei danni iniziato nel 1993, era arrivato fino in Cassazione civile nel 2015, per poi essere riassunto dinanzi alla Corte d’Appello di Milano che si era espressa a favore di Disney, affermando che la sentenza a Sezioni Unite del 2009 non aveva efficacia di giudicato in ordine al tema della caduta o meno delle opere nel pubblico dominio nonché che era da ritenersi applicabile l’estensione retroattiva a settant’anni della durata dei diritti di sfruttamento economico delle opere; di conseguenza, alcun risarcimento danni avrebbe potuto essere riconosciuto all’imprenditore milanese.
La Suprema Corte ha poi condiviso l’orientamento della Corte di merito di secondo grado specificando che l’art. 654 c.p.p. prevede che una sentenza penale irrevocabile, quale quella delle Sezioni Unite, ha efficacia di giudicato nel giudizio civile tra le stesse parti solo con riguardo ai fatti materiali oggetto del giudizio penale, non anche rispetto all’interpretazione data alla normativa applicabile; difatti, la Corte d’Appello aveva ritenuto applicabile il D.Lgs. n. 154/1997 in via retroattiva anche alle opere cadute in pubblico dominio.
Spunti di riflessione rispetto ai contenziosi statunitensi
Disney non è nuova a queste controversie aventi ad oggetto il riconoscimento dei suoi diritti d’autore sulle opere da lei pubblicate, nemmeno nella sua patria a stelle e strisce. È noto il procedimento che l’ha vista battersi per diciotto anni per i diritti di sfruttamento di Winnie The Pooh e la sua attività di lobbying finalizzata ad ottenere l’estensione dei suoi diritti autorali da settantacinque a novantacinque anni e tanto strenua da rendere nota la legge con il nome di Mickey Mouse Protection Act.
Le fatiche della Company non sono ancora finite, visto che da pochi mesi alcuni artisti e illustratori dei super eroi Marvel, di proprietà Disney, hanno inviato delle cosiddette “copyright-termination notices” a cui Disney si è opposta. Le notices erano infatti finalizzate ad ottenere una riduzione dei diritti di Disney in favore degli autori o, quantomeno, una condivisione degli utili, giocandosi il tutto sulla definizione di “works made for hire”, ovvero di quei lavori fatti alle dipendenze o direttive di un datore di lavoro oppure in modalità autonoma e freelance.
Probabilmente solo tra qualche anno conosceremo gli esiti di questi nuovi contenziosi statunitensi, potendo goderci nel frattempo tutti i nuovi film in uscita dai produttori Marvel e Disney.
Avv. Maria Giorgia Mazzilli e Dott.ssa Chiara Arena