Nozione
Il licenziamento per impossibilità sopravvenuta della prestazione rientra tra le ipotesi di risoluzione del rapporto per giustificato motivo oggettivo e ricorre ogniqualvolta vi sia una sopravvenuta inidoneità del lavoratore alle mansioni assegnate.
Evoluzione giurisprudenziale
La questione della sopravvenuta inidoneità psicofisica del lavoratore e il conseguente recesso datoriale è stata ampiamente dibattuta in giurisprudenza.
Più in dettaglio sono dovuti gli orientamenti affermatisi prima della sentenza emessa dalla Corte di Cassazione a SU n. 7755 in data 7 agosto 1998, sentenza che costituisce il punto cardine nel mutamento d'orientamento, nella giurisprudenza del giudice supremo.
Un primo orientamento inquadra l'inidoneità psicofisica alle mansioni del lavoratore nelle fattispecie previste dagli artt. 1463 e 1464 del codice civile.
Questa assegnazione attribuisce al datore di lavoro, accertata l'inabilità e quindi la ridotta capacità lavorativa del prestatore di lavoro, riferita alle normali ed lavoro abituali prestazioni assegnate, la facoltà di recedere dal contratto ai sensi dell'art. 1464 del codice civile, che prevede che “quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile, l'altra parte ha diritto ad una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta, e può anche recedere dal contratto, qualora non abbia un interesse apprezzabile all'adempimento parziale”.
A detto indirizzo se ne è contrapposto un altro che, pur senza negare la rilevanza dei principi posti nelle norme di cui agli artt. 1463 e 1464 del codice civile e ritenendo prevalente la normativa speciale lavoristica rispetto a quella generale civilistica, contempera i richiamati principi con la particolare disciplina limitativa del recesso datoriale contenuta nell'art. 3 della ln 604/66.
L'impossibilità sopravvenuta, totale del lavoratore alla prestazione (art. 1463 codice civile o parziale art. 1464 codice civile), costituendo un'ipotesi di giustificato motivo oggettivo di licenziamento, si rende necessario per la risoluzione del rapporto quell'atto unilaterale recettizio” proceduralizzato Qual è il licenziamento.
Il ricorso all'art. 3 della ln 604/66, infatti, impedisce quella risoluzione di diritto e senza preavviso del contratto di lavoro che l'applicabilità dell'art. 1463 del codice civile comporterebbe ed inoltre fa in modo che, in caso di sopravvenuta inabilità parziale, l'interesse apprezzabile all'adempimento parziale venga sindacato giudizialmente.
Altra questione molto dibattuta in giurisprudenza e in dottrina è l'eventuale diritto del prestatore di lavoro all'assegnazione di mansioni diverse da quelle d'origine, equivalenti o anche inferiori, comunque compatibili con la residua capacità lavorativa.
E' proprio questa questione che la sentenza n. 7755/98 della Cassazione già citata tratta: il così detto obbligo di ripescaggio.
I principi stabilità dalla Corte di Cassazione a SU n. 7755/1998
Con la citata sentenza n. 7755/98, la questione dell'obbligo di ripescaggio viene affrontata dalla Corte in modo ampio ed approfondito.
Secondo la Corte invero, l'obbligo di ripescaggio non troverebbe più fondamento nell'art. 2087 del codice civile, bensì sarebbe subordinato agli oneri probatori incombenti sul datore di lavoro che intende licenziare il prestatore per giustificato motivo oggettivo.
Nello stesso senso sembra che la Corte attribuisca particolare rilievo all'obbligo generale del creditore della prestazione (datore di lavoro) di cooperare con il debitore per il raggiungimento del fine comune quale è l'adempimento (seppur parziale) dell'obbligo contrattuale.
Ad avviso del giudice di legittimità, il datore di lavoro, infatti, è tenuto non solo a predisporre gli strumenti materiali necessari all'esecuzione del lavoro, ma anche ad utilizzare appieno le capacità lavorative del prestatore.
Accertata l'inidoneità psicofisica del lavoratore, il datore deve (in adempimento agli obblighi di cooperazione) “ predisporre gli strumenti materiali necessari all'esecuzione del lavoro, ma anche utilizzare appieno le capacità lavorative del dipendente nei limiti dell'oggetto del contratto ossia nei già detti limiti posti dall'art. 2103 del codice civile”; quindi assegnare, sempre che questo non comporti uno sconvolgimento rilevante nell'organizzazione dell'impresa, mansioni compatibili con il nuovo stato di salute del prestatore: mansioni che possono essere equivalenti o inferiori, qualora il lavoratore anche tacitamente dimostri di volerle accettare al fine di conservare il proprio posto di lavoro.
L'assegnazione di mansioni diverse, equivalenti o meno, non costituisce una deroga all'art. 2103 del codice civile (norma che regolamenta lo ius variandi datoriale), bensì rappresenta un adeguamento del rapporto contrattuale alle effettive capacità lavorative del prestatore.
Quindi il datore di lavoro può ricorrere al licenziamento, in caso di sopravvenuta inidoneità psicofisica del prestatore di lavoro, solo come extrema ratio e dunque dopo aver accertato che non è possibile, pur ricorrendo ai ben noti principi in materia di buona fede e correttezza, adibirlo ad altre mansioni equivalenti, fatto salvo il potere di autodeterminazione del datore, fondato sull'art. 41 della Carta Costituzionale, circa il dimensionamento e la scelta del personale da impiegare.
Conclusioni
Il datore, pertanto, non è pertanto obbligato a creare una figura professionale ad hoc ed ex novo per consentire l'adibizione del lavoratore inabile a mansioni confacenti al suo stato di salute.
L'obbligo di ripescaggio , dunque, è ancorato al mero mutamento delle modalità esecutive della prestazione ovvero a variazioni nell'organizzazione aziendale, comunque rientranti in quei margini di mutabilità ed elasticità che un'impresa, per mantenersi efficiente e dinamica, deve essere in grado di assorbire.
Avv. Francesca Frezza