Il licenziamento per giusta causa

Il licenziamento per giusta causa
Il licenziamento per giusta causa può essere disposto dal datore di lavoro in presenza di condotte estremamente gravi del lavoratore, che ledono il vincolo fiduciario, tali da impedire anche in via provvisoria il rapporto di lavoro.

L’art. 2119 c.c. prevede che il datore di lavoro possa, pertanto, in presenza di una giusta causa, recedere dal rapporto di lavoro senza obbligo di preavviso.

Il licenziamento disciplinare è la sanzione disciplinare massima e deve essere preceduta dalla contestazione di addebito al fine di consentire al lavoratore di rendere proprie giustificazioni in ordine ai fatti contestati.

I contratti collettivi contengono codici comportamentali che indicano le sanzioni graduate a seconda della gravità del comportamento tipicizzato.

Tra i comportamenti del lavoratore che possono incidere sul rapporto fiduciario la giurisprudenza ha ricompreso anche le condotte poste in essere dal lavoratore nella sua vita privata extra lavorativa. Tali condotte possono dare luogo a una cd. giusta causa extracontrattuale.

Il recente arresto giurisprudenziale sulla legittimità del licenziamento disciplinare intimato al dipendente che ha insultato i propri responsabili su Facebook

Un lavoratore dipendente di un’azienda di telecomunicazioni impugnava il licenziamento intimatogli per giusta causa dalla datrice di lavoro in quanto fuori dall’orario di lavoro aveva espresso giudizi fortemente offensivi nei confronti dei propri responsabili nonché dei vertici aziendali a mezzo di e – mail e tramite Facebook.

La Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 27939 del 13 ottobre 2021 conferma la sentenza della Corte di Appello di Roma ritenendo legittimo il licenziamento per giusta causa extracontrattuale intimato al lavoratore.

La Corte ritiene di annoverare gli addebiti nel novero delle condotte che integrano l’insubordinazione in quanto: “(…) la nozione di insubordinazione non può essere limitata al rifiuto di adempiere alle disposizioni impartite dai superiori, ma si estende a qualsiasi comportamento atto a pregiudicarne l’esecuzione nel quadro dell’organizzazione aziendale, sicché la critica rivolta ai superiori con modalità esorbitanti dall’obbligo di correttezza formale dei toni e contenuti, oltre a contravvenire alle esigenze di tutela della persona umana riconosciute dall’art. 2 Cost., può essere di per sé suscettibile di arrecare pregiudizio all’organizzazione aziendale, dal momento che l’efficienza di quest’ultima riposa sull’autorevolezza di cui godono i suoi dirigenti e quadri intermedi ed essa risente un indubbio pregiudizio allorché il lavoratore, con toni ingiuriosi, attribuisca loro qualità manifestamente disonorevoli”.

Da ultimo il lavoratore contestava l’illegittima acquisizione dei post Facebook da parte della società.

La Cassazione afferma un principio non sempre condiviso dalla giurisprudenza di merito per la quale un commento pubblicato sui social deve considerarsi sempre pubblico in quanto il messaggio è idoneo a circolare tra un numero indeterminato di soggetti.

La Cassazione in altri precedenti di poco successivi (Cassazione, 22 settembre 2021 n. 25731) ha rilevato tuttavia che l’utilizzo delle dichiarazioni dei lavoratori estrapolate da chat interne per fini disciplinari può comunque determinare una violazione dell’art. 4 dello statuto dei lavoratori.

Il tema dell’accesso del datore di lavoro ai social media e dell’utilizzo alle affermazioni dei lavoratori estrapolate dai media rimane quindi ancora oggi oggetto di un ampio dibattito giurisprudenziale.

Avv. Nicoletta Di Lolli

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