Fallimento: interruzione del processo e decorrenza del termine di riassunzione

Fallimento: interruzione del processo e decorrenza del termine di riassunzione

In caso di interruzione del processo a causa dell’intervenuto fallimento di una delle parti processuali, da quando decorre per la parte diversa da quella dichiarata fallita il termine di tre mesi fissato dalla legge per la riassunzione del processo?

 
L’ordinanza interlocutoria

Con l’ordinanza interlocutoria n. 21961 del 12 ottobre 2020 i Giudici della Prima Sezione civile della Suprema Corte di cassazione hanno rimesso la causa al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite affinché risolvano la dibattuta questione vertente sull’individuazione del momento da cui decorre, per la parte processuale diversa da quella dichiarata fallita, il termine (perentorio) trimestrale per la riassunzione del giudizio interrotto a seguito della declaratoria del fallimento dell’altra parte.

I contrasti giurisprudenziali

L’intervento delle Sezioni Unite è stato sollecitato dai Giudici della Prima Sezione in ragione della rilevata coesistenza di plurimi e diversi indirizzi interpretativi circa il momento dal quale decorre, per la parte non fallita, il termine per riassumere il processo interrotto.

Secondo un primo orientamento il termine decorrerebbe dal momento del perfezionamento della conoscenza legale sia dell’evento interruttivo che del procedimento in cui detto evento ha prodotto il suo effetto (cfr. ex multis Cass. civ., Sez. III, 15 marzo 2018, n. 6398; Cass. civ., Sez. III, 30 novembre 2018, n. 31010).

Secondo un diverso orientamento, ferma restando la necessità del perfezionamento della conoscenza legale, l’oggetto di essa sarebbe limitato all’evento interruttivo, non essendo richiesta anche la conoscenza del procedimento interrotto (cfr. ex multis Cass. civ., Sez. II, 29 agosto 2018, n. 21325).

In uno specifico caso, tuttavia, i Giudici di legittimità avrebbe ritenuto dotata di rilevanza giuridica anche una conoscenza (non legale, ma) effettiva dell’evento interruttivo (cfr. Cass. civ., Sez. V, 14 giugno 2019, n. 15996).

Secondo altro indirizzo interpretativo, infine, l’onere per la parte diversa da quella dichiarata fallita di procedere alla riassunzione del processo interrotto insorgerebbe esclusivamente a seguito della dichiarazione, da parte del Giudice, dell’interruzione del giudizio, con la conseguenza che, ferma restando l’automaticità dell’effetto interruttivo riconducibile alla declaratoria del fallimento, la parte diversa da quella dichiarata fallita non sarebbe tenuta, in ogni caso e a prescindere dall’adozione del provvedimento di interruzione, alla riassunzione del processo nei confronti del curatore (cfr. ex multis Cass. civ., Sez. VI, 1 marzo 2017, n. 5288; Cass. civ., Sez. VI, 27 febbraio 2018, n. 4519).

Motivazione della rimessione

Come condivisibilmente rilevato dai Giudici della Prima Sezione civile, la questione sollevata non ha un rilievo meramente accademico, ma una inequivoca “dimensione pratica”.

La coesistenza di plurimi indirizzi interpretativi, postulanti diverse decorrenze del termine di riassunzione del processo interrotto, comportano, inevitabilmente, il rischio che, a fronte di una identica situazione processuale, la riattivazione del giudizio sia reputata dal Giudice in alcuni casi tempestiva e in altri tardiva.

Rischio, quello rilevato, che incide - compromettendolo - sul diritto di difesa (peraltro, sancito a livello costituzionale) della parte diversa da quella colpita dalla declaratoria di fallimento, alla quale è sostanzialmente preclusa, allo stato dell’attuale elaborazione giurisprudenziale, la formulazione di una “prognosi affidabile circa le conseguenze della propria condotta processuale”.

Avv.ti Daniele Franzini e Rossana Mininno
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