Corte di Giustizia: danni punitivi per chi viola la proprietà intellettuale

Corte di Giustizia: danni punitivi per chi viola la proprietà intellettuale
Avv. Alessandro La Rosa La Corte di Giustizia Europea, con sentenza resa lo scorso 25 gennaio c.a. (causa C-367/15) ha affermato il principio per cui l’uso non autorizzato di un’opera altrui legittima il titolare dei diritti sulla detta opera a chiedere all’autore della violazione il pagamento di una somma equivalente al doppio del prezzo normalmente richiesto a titolo di concessione dell’autorizzazione per l’uso dell’opera, senza dover dimostrare il danno effettivamente subito. Con tale decisione la CGUE ha chiarito, in particolare, la portata dell’articolo 13 della direttiva 2004/48/CE (cd. “enforcement”) in riferimento ad un caso di violazione dei diritti autorali connessi su opere televisive. La CGUE è stata chiamata a rispondere alla seguente questione pregiudiziale: “se l’articolo 13 della direttiva 2004/48 possa essere interpretato nel senso che il titolare di diritti patrimoniali d’autore che siano stati violati può chiedere la riparazione dei danni da esso subiti sulla base dei principi generali, oppure se, senza dover dimostrare il danno ed il nesso di causalità tra il fatto generatore della violazione dei suoi diritti ed il danno, possa esigere il pagamento di una somma di denaro dell’importo equivalente al doppio o, nel caso di violazione colposa, al triplo della remunerazione adeguata, dal momento che l’articolo 13 della direttiva 2004/48 prevede che a decidere in merito ad un risarcimento sia il giudice, tenendo conto delle circostanze elencate all’articolo 13, paragrafo 1, lettera a), e che solo in via alternativa, in alcuni casi, egli può fissare a titolo di risarcimento una somma forfettaria, tenendo conto degli elementi di cui all’articolo 13, paragrafo 1, lettera b), della direttiva”. La Corte ha risolto la questione dando risposta affermativa al quesito su indicato affermando che tale norma non osta ad un’interpretazione estensiva della misura di calcolo del danno, posto che “Tale interpretazione non può essere rimessa in discussione dal fatto, in primo luogo, che un risarcimento calcolato sulla base del doppio del canone ipotetico non è esattamente proporzionale al danno effettivamente subito dalla parte lesa. Infatti, tale caratteristica è intrinseca ad ogni risarcimento forfettario, come quello espressamente previsto all’articolo 13, paragrafo 1, secondo comma, lettera b), della direttiva 2004/48”. Peraltro, precisa la Corte, non sarebbe nemmeno equo pretendere che l’autore della violazione sia tenuto a pagare esattamente quanto avrebbe pagato in caso di autorizzazione all’uso delle opere perché “il mero versamento, nell’ipotesi di una violazione di un diritto di proprietà intellettuale, del canone ipotetico non è idoneo a garantire un risarcimento dell’integralità del danno effettivamente subito, poiché il pagamento di tale canone, da solo, non garantirebbe il rimborso di eventuali spese legate alla ricerca e all’identificazione di possibili atti di contraffazione, menzionati al considerando 26 della direttiva 2004/48, né il risarcimento di un eventuale danno morale (v., a tale ultimo proposito, sentenza del 17 marzo 2016, Liffers, C-99/15, EU:C:2016:173, punto 26), né ancora il versamento di interessi sugli importi dovuti”. Con tale sentenza, in definitiva, viene attribuita agli Stati Membri la possibilità di introdurre, nella materia de qua, forme risarcitorie di tipo punitivo. Si segnala al riguardo la recente ordinanza con cui la Corte di Cassazione ha deciso di rimettere alle Sezioni Unite, la decisione sulla ammissibilità, nell’ordinamento italiano, dei c.d. punitive damages, “in quanto implicante la soluzione di una questione di massima di particolare importanza”. Tanto anche in considerazione del fatto che, proprio le leggi italiane sulla proprietà intellettuale (cfr. art. 158 LDA) ed industriale (art. 123 CPI), “riconoscono al danneggiato un risarcimento corrispondente ai profitti realizzati dall’autore del fatto, connotato da una funzione preventiva e deterrente, laddove l’agente abbia lucrato un profitto di maggiore entità rispetto alla perdita subita dal danneggiato” e che la Suprema Corte (Cass. n. 8730 del 2011) ha già chiarito che il citato corpo normativo contempla una “funzione parzialmente sanzionatoria (del risarcimento ndr), in quanto diretta anche ad impedire che l'autore dell'illecito possa farne propri i vantaggi”.
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