
L’ordinanza n. 10428/2021 della Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, depositata il 28 maggio 2025, offre un’interessante conferma circa la legittimità della clausola statutaria “simul stabunt simul cadent” nel sistema dualistico delle società per azioni, delineandone, nel contempo, il perimetro applicativo con maggiore chiarezza.
La vicenda giudiziaria prende le mosse dalla revoca di tre componenti del consiglio di sorveglianza di una S.p.A. -con sistema dualistico- cui ha fatto seguito, per effetto della clausola statutaria simul stabunt, simul cadent, la cessazione dalla carica di un quarto consigliere, pur non essendo questi direttamente coinvolto nella revoca. Il giudizio è giunto sino alla Corte d’Appello di Brescia che, riformando parzialmente la sentenza di primo grado, ha condannato la società al risarcimento del danno in favore dei consiglieri revocati senza giusta causa, ma ha confermato il rigetto della domanda del quarto consigliere decaduto, tesa ad ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito della cessazione automatica dalla analoga carica, per effetto dell'applicazione della citata clausola statutaria conseguente alla riferita revoca dei tre colleghi.
La Cassazione, respingendo il ricorso ha ribadito come la riforma del 2003 abbia esteso la portata applicativa del principio, “in ossequio alla finalità di ampliare gli ambiti dell'autonomia statutaria” e che, dunque, simili clausole sono da ritenersi valide e legittime anche in riferimento alle società per azioni con sistema di amministrazione e controllo dualistico pur in assenza di espresso richiamo nella relativa disciplina legale all'art. 2386 cod. civ., né rilevando in tal senso la presunta diversità strutturale del consiglio di sorveglianza rispetto al consiglio di amministrazione.
La Corte ha confermato e consolidato l'orientamento già espresso con la precedente sentenza n. 2197 del 16 marzo 1990, relativa a una clausola che prevedeva la decadenza dell’intero consiglio di amministrazione al venire meno della maggioranza dei suoi componenti, evidenziando come tale clausola condivida la medesima ratio con quella statutaria oggi in esame riferita al consiglio di sorveglianza. La Cassazione ha, infatti, osservato che una siffatta clausola debba considerarsi valida in quanto non risulta contraria ad alcuna norma imperativa dell'ordinamento in materia societaria.
Infine, la Corte ha chiarito in punto di diritto la netta distinzione tra la revoca senza giusta causa di un amministratore o consigliere e la cessazione dalla carica determinata dalla clausola simul stabunt simul cadent. Secondo gli Ermellini, la pretesa di configurare una sorta di “revoca implicita” nei confronti di chi decada per effetto della clausola, a seguito della revoca ingiustificata di altri componenti, si fonda su un'indebita sovrapposizione di piani giuridici distinti, che non comunicano tra loro. Non vi è infatti alcun automatismo risarcitorio, poiché la cessazione derivante dalla clausola simul stabunt simul cadent non ha natura revocatoria né è idonea, di per sé, a fondare una responsabilità risarcitoria. Solo un abuso del meccanismo statutario, da provarsi in concreto, potrebbe assumere rilievo lesivo.
L’ordinanza segna, dunque, un punto fermo di significativa rilevanza per la prassi societaria, in quanto riafferma che l’unico vero limite alla legittimità della clausola simul stabunt simul cadent è il rispetto dei principi di buona fede, correttezza e lealtà. La sua applicazione si estende legittimamente anche al sistema dualistico, essendo del tutto coerente con “la filosofia generale di tale modello organizzativo e non ponendosi in contrasto con alcuna disposizione imperativa”.
In questo senso, la decisione riafferma un orientamento di forte favore nei confronti dell’autonomia statutaria, fornendo al contempo un criterio interpretativo certo e coerente per la gestione dei rapporti societari interni.