Verità presunta o fake news? Conta la verifica delle fonti

Verità presunta o fake news? Conta la verifica delle fonti
Avv. Flaviano Sanzari Che il termine fake news sia già entrato anche all’interno delle aule giudiziarie e di alcune sentenze che hanno deciso cause civili per diffamazione non sorprende. D’altronde, al centro del problema fake news vi è un tema classico che i Tribunali si trovano ad affrontare nell’esame delle possibili cause di esclusione della responsabilità da diffamazione, ossia quello della verità dei fatti riferiti e delle varie sfumature che la stessa può assumere. Così, se sono tollerati errori marginali, non possono di certo essere accettate inesattezze determinanti sulla realtà fattuale, in grado di ledere la reputazione dei soggetti interessati. Via libera allora alla verità putativa, se il giornalista ha fatto tutto il possibile per verificare le fonti e ciononostante sia caduto in errore, mentre viene punita la verità soggettiva, dietro la quale si cela sempre l’insidia delle fake news, ovvero quelle «notizie false, altrimenti dette bufale». Il Tribunale di Torino, ad esempio, con la sentenza n. 2861 dello scorso 9 giugno, si è espresso circa un articolo in cui il giornalista aveva definito un «gigantesco malinteso» e poi un «errore giudiziario» il sequestro disposto da un magistrato sull’abitazione di due neo sposi. Il giudice cita in giudizio per diffamazione il giornale, colpevole di «inaudita superficialità e negligenza». All’esito del giudizio, emerge che se di clamoroso errore doveva parlarsi, questo era da ricercare nelle modalità con cui venne data la notizia, «frutto quantomeno di superficialità». La sentenza dà modo al giudice di affrontare il tema delle fake news e del vaglio sulla verità delle fonti, ritenuto esigibile quando si diffonde una notizia su qualsiasi mezzo, anche nel web. Si tratta di un giudizio di bilanciamento tra diritto di cronaca e quello alla reputazione dei soggetti coinvolti, che passa attraverso la misura della verità che il lettore deve pretendere da chi divulga i fatti. Lo aveva già precisato il Tribunale di Catania con la sentenza n. 3475 del 19 luglio 2017, decidendo il caso di un marito che aveva chiesto ad una emittente televisiva il risarcimento dei danni subiti a causa delle offese diffuse dalla sua ex moglie. Per il giudice non ci sono dubbi, «le fake news possono rendere irrespirabile l’aria di una comunità di poche migliaia di anime» in cui le notizie che «attribuiscono la patente di orco al danneggiato corrono di bocca in bocca a soddisfare l’insana sete di quanti si beano a vedere il mostro di turno sbattuto in prima pagina». La sentenza non fa sconti e condanna l’emittente a risarcire il danno da diffamazione, quantificato in 40mila euro. Anche in questo caso, il Tribunale punisce la mancata verifica delle fonti, che fa di una notizia non accuratamente vagliata una vera e propria fake news. Le varie forme della verità sono state spesso al centro della giurisprudenza degli ultimi anni, dando luogo a una vera e propria classificazione delle falsità tollerabili. Il giornalismo non ammette mezze verità, eppure delle sue sfumature sono pieni i Tribunali. Se la verità oggettiva è quella alla quale ogni giornalista dovrebbe tendere, esiste poi la verità putativa che scrimina solo se frutto di un attento lavoro di verifica delle fonti che però non sono tutte uguali. Affidabili quelle ufficiali, come i ministeri, da verificare le interviste o gli esposti anonimi. Non basta poi che una notizia circoli nel web e che non sia mai stata smentita per abbassare la soglia di guardia. Debole anche la verità soggettiva che si nutre delle convinzioni personali del giornalista, così come non salva la verità dubitativa, fatta di allusioni e omesse narrazione di parte dei fatti in realtà conosciuti. Ma se è semplice applicare il criterio minimo della verità putativa ai giornalisti, lo stesso non vale quando le false notizie vengono diffuse da privati e, soprattutto, da soggetti non identificabili. Le vittime, in tal caso, hanno la possibilità di aggredire direttamente i provider, Facebook e Google tra tutti, debitamente informati dell’illecito commesso tramite le loro piattaforme.
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