Salario minimo e retribuzione sufficiente

Salario minimo e retribuzione sufficiente

La Costituzione Italiana enuncia il principio di preminenza etica del lavoro intesa come attività di utilità sociale (art. 4, co 2°). 

Ciò premesso, tra le varie disposizioni enunciate dal dettato costituzionale in materia giuslavoristica (artt. 1 – 3 – 4 – 35 – 37 – 39 – 40 – 46) è di indubbia attualità il principio di salario minimo legale che trova il suo fondamento nelle disposizioni dell’art. 36 Cost., che recita: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sè e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa”.

La norma in esame non prevede una riserva di legge e ad oggi nel nostro ordinamento non esiste alcuna norma in materia di salario minimo legale; in Italia la retribuzione “sufficiente” viene individuata dalla contrattazione collettiva che non ha, però, carattere imperativo e vincolante per il datore di lavoro.

Da ciò ne discende che, in particolar modo a seguito della pandemia, si sia tornati a parlare con insistenza della necessità di introdurre anche nel nostro ordinamento il salario minimo legale volto a contrastare il sempre più diffuso fenomeno dei “working poors” ossia quei lavoratori che pur prestando attività lavorativa versano in condizioni di indigenza.

Contesto Euro – unitario: la direttiva sul salario minimo legale

L’11 novembre del 2021 il Parlamento Europeo ha votato a maggioranza una nuova direttiva per l’introduzione in tutta l’Unione del salario minimo.

La direttiva si prefigge quale obiettivo quello di stabilire i requisiti base per garantire ai lavoratori una retribuzione dignitosa e contrastare, in questo modo, le diseguaglianze economiche.

Allo stato il Consiglio Europeo, che vede in campo i ministri del lavoro dei paesi membri, e la Commissione Europea sono in fase di negoziazione.

L’Europa intende promuovere il sistema di contrattazione negli stati che già la applicano e in quelli dove non sia previsto il salario minimo, mentre nei paesi membri che già prevedono degli standard minimi di retribuzione, è intenta a stabilire dei criteri di adeguatezza.

È molto probabile che a seguito della approvazione della direttiva, in fase di attuazione nei diversi stati membri, che venga istituito un sistema di monitoraggio sull’effettivo rispetto degli standard della direttiva.

Contesto nazionale

La Ministra Catalfo con il disegno di legge n. 2187 del 2020 aveva tentato di introdurre il salario minimo legale nel nostro paese. Il disegno di legge prevedeva una retribuzione non inferiore a quella prevista per il settore di competenza e comunque non inferiore ai 9 euro l’ora.

L’attuale compagine di governo sta discutendo su due opzioni alternative: la prima richiama il disegno di legge della ministra Catalfo volta a fissare una soglia minima di retribuzione oraria. La seconda opzione rimanda alla contrattazione collettiva prevedendo che per legge il datore di lavoro non possa corrispondere una retribuzione inferiore a quella prevista dai contratti collettivi di categoria.

È indubbio che nell’attuale assetto normativo nostrano, in particolar modo con l’attuazione della direttiva europea in fase di approvazione, si riuscirebbe a risolvere il problema dilagante dei cd “contratti pirata” e del dumping salariale.

Il Cnel ha stimato che ad oggi sono vigenti nel nostro ordinamento ben 888 contratti collettivi.

Con l’introduzione del salario minimo legale si riuscirebbe, almeno in parte (e forse) a dare attuazione a quanto si erano prefigurati i padri Costituenti, laddove all’art. 3, co. 2 dispone: “ è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”.

Avv. Nicoletta Di Lolli

Newsletter

Iscriviti per ricevere i nostri aggiornamenti

* campi obbligatori