Ripetizione di indebito: differenza tra versamenti solutori e versamenti ripristinatori

Ripetizione di indebito: differenza tra versamenti solutori e versamenti ripristinatori

Se il correntista, nel corso del rapporto, ha effettuato non solo prelevamenti ma anche versamenti, questi ultimi potranno essere considerati alla stregua di pagamenti e potranno formare oggetto di ripetizione di indebito. Per i versamenti la prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito decorre dal momento in cui hanno avuto luogo le singole rimesse. Lo ha stabilito la VI Sezione Civile della Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 14958 del 14.7.2020.

Il caso sottoposto all’esame della Corte

La società conveniva in giudizio una banca innanzi al Tribunale, domandando la ripetizione di somme asseritamente corrisposte in eccedenza, rispetto al dovuto, per interessi ultralegali, usurari e anatocistici con riferimento a un contratto di conto corrente.

La banca, in sede di costituzione, eccepiva preliminarmente la prescrizione del diritto fatto valere.

La domanda della società, accolta in primo grado, veniva confermata dalla Corte di Appello in sede di gravame.

In particolare, la Corte affermava la non rilevanza della distinzione tra rimesse solutorie e rimesse ripristinatorie operata dalla sentenza n. 24418 del 2 dicembre 2010 resa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, richiamata dalla difesa della banca, giacchè riteneva che nella fattispecie si trattava di “individuare la data di inizio per il decorso del termine di prescrizione dell’azione di ripetizione non essendo mai entrata nel processo una distinzione delle rimesse sotto il profilo della diversa decorrenza del termine di prescrizione”.

Le Sezioni Unite n. 24418 del 2010

L’ordinanza in commento ribadisce i principi già affermati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 24418 del 2 dicembre 2010, richiamata nelle difese della banca. Con la detta sentenza le Sezioni Unite hanno statuito che “se il correntista, nel corso del rapporto, abbia effettuato non solo prelevamenti ma anche versamenti, in tanto questi ultimi potranno essere considerati alla stregua di pagamenti, tali da formare oggetto di ripetizione (ove risultino indebiti), in quanto abbiano avuto lo scopo e l’effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca”.

In particolare, ciò accade solo nei casi di “versamenti eseguiti su un conto in passivo cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’affidamento”.

Pertanto, è necessario distinguere tra versamenti solutori e versamenti ripristinatori della provvista. Solo i primi, infatti, possono considerarsi pagamenti nel quadro della fattispecie della ripetizione di indebito, con la conseguenza che la prescrizione del relativo diritto decorre, per tali versamenti, dal momento in cui le singole rimesse abbiano avuto luogo.

I versamenti ripristinatori, al contrario, non soddisfano il creditore ma ampliano o ripristinano la facoltà di indebitamento del correntista. Pertanto, in riferimento ad essi, la prescrizione decorre dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli eventuali interessi non dovuti sono stati registrati.

La decisione della Corte di Cassazione

La banca, ricorrente in Cassazione, con il secondo motivo censura la decisione assunta dalla Corte di Appello sull’eccezione di prescrizione del diritto alla ripetizione. Secondo la banca, la Corte di merito avrebbe dovuto applicare il principio enunciato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 24418 del 2 dicembre 2010, verificando quanto fosse in concreto ripetibile il versamento, ovvero avendo riguardo al momento in cui era stata possa in atto la rimessa.

In accoglimento del predetto motivo, la Cassazione ha cassato la sentenza impugnata nella parte in cui aveva reputato non invocabile quanto affermato dalle Sezioni Unite nel 2010 con riferimento alla prescrizione delle rimesse bancarie, in quanto “la differenziazione di tali rimesse, come solutorie e ripristinatorie, presentava carattere di novità (e non era dunque suscettibile di essere fatto valere in appello)”.

Infatti, secondo gli Ermellini, la stessa proposizione dell’eccezione di prescrizione imponeva di accertare la decorrenza della prescrizione basata sulla distinzione tra rimesse solutorie e ripristinatorie e di svolgere un giudizio di accertamento circa la data in cui avevano avuto luogo le singole rimesse solutorie.

Avv. Daniele Franzini
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