Quando recedere da un abbonamento con periodo di prova gratuito? Il punto della CGUE

Quando recedere da un abbonamento con periodo di prova gratuito? Il punto della CGUE
Chiamata a pronunciarsi in via pregiudiziale su domanda della Corte suprema austriaca in ordine alla interpretazione dell’articolo 9 della direttiva 2011/83 in tema di recesso del consumatore nei contratti conclusi a distanza, la Corte di giustizia dell’Unione Europea, nella causa C-565/22, ha chiarito lo scorso 5 ottobre i limiti dell’esercizio del diritto di recesso da parte del consumatore.

Il caso

La questione trae origine da una controversia tra una associazione austriaca per l’informazione dei consumatori e una società di diritto tedesco che gestisce piattaforme di apprendimento online. La società forniva sulle proprie piattaforme un servizio online in abbonamento con un primo periodo di 30 giorni di prova gratuita e un successivo periodo a pagamento, automaticamente rinnovato in caso di mancato esercizio del recesso da parte dell’utente durante il primo periodo.

Ebbene, l’associazione dei consumatori riteneva che – conformemente all’art. 9 della direttiva 2011/83 e al FAAG (Fern- und Auswärtsgeschäfte-Gesetz), la legge austriaca in materia di contratti a distanza e ai contratti negoziati fuori dai locali commerciali –  il consumatore non disponesse di un solo diritto di recesso, esercitabile appunto durante il primo periodo di prova gratuita, ma anche di un secondo diritto di recesso, esercitabile a partire dal momento del rinnovo dell’abbonamento a pagamento in virtù proprio della “trasformazione di tale abbonamento in abbonamento standard”.

La questione, dopo una prima decisione del Tribunale commerciale di Vienna e un secondo grado di giudizio avanti al Tribunale superiore del Land, giunge avanti all’Oberster Gerichtshof, la Corte suprema austriaca, che decide di sospendere il procedimento e di sottoporre alla CGUE la seguente questione pregiudiziale: “Se l’art. 9, paragrafo 1, della direttiva [2011/83] debba essere interpretato nel senso che il consumatore dispone di nuovo di un diritto di recesso in caso di “rinnovo automatico” [art. 6, paragrafo 1 lettera o), di detta direttiva] di un contratto a distanza”. In altre parole, il giudice del rinvio domanda se l’articolo 9 della direttiva 2011/83 vada interpretato nel senso che “il diritto del consumatore di recedere da un contratto a distanza è garantito una sola volta [ndr. precisamente durante il primo periodo di prova gratuita] (…) oppure nel senso che il consumatore dispone di tale diritto in occasione di ciascuna di tali fasi di trasformazione e di rinnovo del contratto”.

La decisione della Corte di giustizia UE

Investita della questione, la CGUE in primo luogo ricorda che l’art. 9, paragrafo 1, della citata direttiva prescrive che, fatte salve le eccezioni di cui all’art. 16, il consumatore dispone di un periodo di quattordici giorni per recedere da un contratto a distanza o negoziato fuori dai locali commerciali, senza dovere fornire alcuna motivazione; peraltro, come disposto nel prosieguo al paragrafo 2, tale periodo di recesso – nel caso di contratti di servizi e di contratti per la fornitura di contenuto digitale non fornito su supporto materiale – scade dopo quattordici giorni a partire dalla conclusione del contratto.

La Corte analizza poi anche la ratio, l’obiettivo, del diritto di recesso, chiarendo che l’attribuzione dello stesso in capo al consumatore compensa “lo svantaggio che risulta [ndr. per il consumatore] da un contratto a distanza, accordandogli un termine di riflessione appropriato durante il quale egli ha la possibilità di esaminare e testare il bene acquistato”. Analoghe considerazioni valgono peraltro laddove il consumatore acquisti, come in questo caso, un servizio e non un bene, essendo il diritto di recesso appunto previsto, da un lato, per “consentire al consumatore di prendere conoscenza, in tempo utile, delle caratteristiche del servizio oggetto del contratto” e, dall’altro, per promuovere in capo al consumatore “un processo decisionale informato (…) che tenga conto di tutte le condizioni contrattuali e delle conseguenze della conclusione del contratto” in modo tale da consentirgli se vincolarsi o meno al professionista fornitore del servizio. In questo senso, tra le informazioni che il professionista deve fornire, certamente di rilievo è il prezzo del servizio oggetto del contratto. Tale informazione, ai sensi dell’art. 6 della direttiva, deve essere fornita dal professionista in forma chiara e comprensibile prima della conclusione di un contratto a distanza.

Se, dunque, il consumatore, prima di concludere il contratto, dispone di una informazione chiara, comprensibili ed esplicita sui prezzi dei servizi (siano essi dovuti a partire dalla data di conclusione del servizio o da un momento successivo, come quello appunto “della trasformazione di detto contratto in contratto a pagamento”), allora l’obiettivo del diritto del consumatore di recedere da un contratto di servizi concluso a distanza può dirsi soddisfatto. Pertanto, ancorché, in occasione della conclusione di un contratto di servizi che prevede un periodo di prova gratuito, il consumatore sia informato in modo chiaro, esplicito e comprensibile che dopo tale periodo o in assenza di recesso, tale prestazione diventerà a pagamento, le condizioni contrattuali portate a conoscenza del consumatore non cambiano. Di contro, se al momento della conclusione del contratto manca nei confronti del consumatore una comunicazione trasparente su tali aspetti, ciò giustificherebbe il riconoscimento in capo al consumatore di un nuovo diritto di recesso (da esercitarsi dopo il primo periodo di prova gratuita).   

L’interpretazione della CGUE

All’esito delle succiate considerazioni, la Corte di giustizia dell’Unione Europea ritiene di interpretare l’art. 9 della direttiva 2011/83 nel senso che il diritto del consumatore di recedere da un contratto a distanza avente ad oggetto la fornitura di una prestazione di servizi in abbonamento con un primo periodo iniziale gratuito e un secondo periodo rinnovato automaticamente (se non è stato esercitato il recesso) è garantito una sola volta, a condizione che il consumatore, al momento della conclusione del contratto, sia stato informato in maniera chiara, comprensibile ed esplicita “che, dopo detto periodo iniziale gratuito, la prestazione di servizi diventa a pagamento” 

Avv. Francesca Folla

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