L’esercizio del diritto di opzione ex art. 18, 3° comma della legge 20 maggio 1970 n. 300

L’esercizio del diritto di opzione ex art. 18, 3° comma della legge 20 maggio 1970 n. 300
A seguito del giudizio per l’accertamento della nullità del licenziamento a cui segua sentenza favorevole di ripristino del rapporto di lavoro, il lavoratore può alternativamente scegliere se riprendere servizio o esercitare il cd diritto di opzione.

Il diritto di opzione, disciplinato dalle disposizioni dell’art. 18, co 3° Stat. Lav, prevede che il lavoratore possa chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro un’indennità pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, fatto salvo il diritto al risarcimento del danno previsto dal secondo comma della norma in esame.

Decorrenza del termine per esercitare il diritto di opzione

La richiesta dell’indennità a titolo di opzione deve essere effettuata nel termine di trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza o dall’invito del datore di lavoro a riprendere servizio.

L’effetto estintivo del rapporto di lavoro per effetto dell’opzione è ormai da ritenersi pacifico (cfr. Cassazione 24195/2015) in quanto la giurisprudenza di legittimità ha superato l’iniziale interpretazione della Corte Costituzionale (sent. 81/1992) che condizionava la risoluzione del rapporto al pagamento dell’opzione esercitata.

Anche la natura alternativa dei termini per optare in favore delle quindici mensilità al posto della reintegra è del tutto consolidata (Cassazione, 25 febbraio 2005 n. 4000).

In occasione della riforma del procedimento sui licenziamenti del 2012 (legge n. 92/12) che ha introdotto la fase sommaria, che si conclude con una ordinanza, sono sorti dubbi interpretativi sul momento dal quale iniziano a decorrere i termini per l’esercizio del diritto di opzione previsti dall’art. 18, co 3° laddove questo fissa il momento di decorrenza dalla comunicazione della “sentenza”.

La giurisprudenza è attualmente orientata nell’affermare che la decorrenza del termine decorra dall’adozione di un provvedimento ripristinatorio, sia esso una sentenza piuttosto che un’ordinanza, non prevista nel testo della norma, in quanto in entrambi i casi l’arresto è suscettibile di passaggio in giudicato. Tale effetto, pertanto, si produce indifferentemente dalla forma della decisione che conclude il giudizio ovverosia con ordinanza o sentenza.

Con la sola eccezione di una isolata decisione della Corte di Appello di Salerno, la recente giurisprudenza di merito afferma pertanto che con il nuovo testo dell’art. 18 il termine decorra dal provvedimento ripristinatorio anche nella forma dell’ordinanza della fase iniziale (Tribunale Milano 7 gennaio 2015 n. 7129).

Tale interpretazione ha trovato inoltre conferma in uno specifico precedente della Corte di Cassazione costituito dalla sentenza 18 giugno 2016 n. 16024. Detta sentenza stabilisce con riferimento alla reintegra disposta con ordinanza nella fase sommaria che “non vi è ragione per ritenere che da tale ordine di reintegrazione non debbano discendere anche gli effetti previsti dal comma 3 dell’art. 18, in base al quale “al lavoratore è data la facoltà  di chiedere al datore di lavoro in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a 15 mensilità (..) la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro (..)”  La Corte di Cassazione ha espressamente chiarito che l’ordinanza della fase sommaria “è del tutto sovrapponibile a quello reso con sentenza all’esito di un giudizio a cognizione ordinaria prima dell’entrata in vigore del procedimento previsto dalla legge 92/12 (..) inoltre in caso di mancato opposizione nel termine fissato a pena di decadenza l’ordine di reintegrazione pronunciato nella fase sommaria diviene irretrattabile e fisiologicamente può accadere che solo da esso derivino le conseguenze previste dall’art. 18 tra cui anche la facoltà di opzione. Invero secondo le Sezioni Unite la prima fase del procedimento di impugnativa del licenziamento della legge, pur caratterizzata da sommarietà istruttoria ha natura semplificata e non cautelare in senso stretto non riferendosi la sommarietà anche alla cognizione del giudice né sussistendo una instabilità dell’ordinanza conclusiva di tale fase che è idonea al passaggio in giudicato in caso di omessa opposizione”.

L’esercizio dell’opzione pertanto è indifferente dalla natura del provvedimento che ha disposto l’effetto ripristinatorio del rapporto di lavoro.

Avv. Nicoletta Di Lolli

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